C’era una volta un pescatore…

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«Una tragedia così non l’abbiamo mai vista con i nostri occhi». Carmine Migale, pescatore di Cutro, parla al Tg1, nei giorni seguenti al naufragio. «C’è un dolore dentro che non sai spiegare», aggiunge sua moglie con lo stesso sguardo profondo e triste. Carmine ha deciso di non pescare più in quel mare che era sempre stato fonte di gioia e di vita. «Per rispetto, per dare un segnale, anche se so che sono nulla rispetto a persone importanti che dovrebbero prendere decisioni molto forti per non far succedere queste cose», spiega. Altri pescatori calabresi sono rimasti segnati da quelle morti, come Vincenzo Luciano, che si era buttato tra le onde per cercare di salvare qualche naufrago. In Calabria come a Lampedusa, come in ogni angolo di mare dove avviene una tragedia, sono spesso loro a intervenire per primi. Con quella umanità spontanea che dovrebbe caratterizzare tutti. Il mare che diventa cimitero, per chi ama le acque e ne trae sostentamento, è una contraddizione, qualcosa di inaccettabile. E vengono in mente le parole di Fabrizio De André e del suo pescatore che, persino alla richiesta di un assassino, «non si guardò neppure intorno, ma versò il vino, spezzò il pane, per chi diceva ho sete e ho fame».

Il seguito sulla rivista.

di Annachiara Valle

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