Alice Rohrwacher verso l’Oscar

Il suo ultimo lavoro, Le pupille, è candidato tra i cortometraggi. Racconta la storia di un gruppo di orfanelle in un rigido collegio di suore durante il Natale. A portare scompiglio sarà una fetta di torta, simbolo di desiderio e libertà.

C’è per fortuna uno sprazzo d’Italia nella 95ª edizione dei premi Oscar che, nella notte tra domenica 12 e lunedì 13 marzo, saranno assegnati al Dolby Theatre di Los Angeles. Merito di Alice Rohrwacher la cui passione per il cinema, condivisa con la sorella Alba, attrice pluripremiata, ha trovato sfogo dietro le cinepresa. Dopo l’anteprima all’ultimo Festival di Cannes, Le pupille ha incantato Hollywood e ora punta dritto alla statuetta come miglior cortometraggio. Non facile, certo, ma non impossibile per una regista che fa dell’inusuale una cifra artistica. A cominciare dal suo film d’esordio, Corpo celeste, con cui si fece notare una dozzina d’anni fa vincendo il Nastro d’argento. Storia di una tredicenne che attraversa le inquietudini catapultata dalla Svizzera a Reggio Calabria, mixando difficoltà sociali e spaesamento di fronte alla sfacciata religiosità imposta dal prete e dalle perpetue della locale parrocchia alle ragazzine che faranno la cresima. A salvarla sarà l’incontro col vecchio sacerdote visionario di un borgo spopolato.
«Scrissi la sceneggiatura senza sapere che avrei dovuto metterla in scena», confida la Rohrwacher, 41 anni e una figlia di 15, Anita. «Fu il produttore Dario Cresto-Dina, per cui facevo l’aiuto regista e la documentarista, che me lo chiese. Mi vergognavo: come avrei fatto? Mi buttai».
Un debutto delicato quanto folgorante cui seguì, nel 2014, il Grand prix di Cannes per Le meraviglie, altra storia intimista di una ragazza calata nella vita rurale di famiglia, ma ansiosa di guardare oltre l’orizzonte del casale. «Un mix d’innocenza e realismo magico», ricorda Alice che volle la sorella Alba nel ruolo di mamma della protagonista, «perché siamo cresciute insieme, abbiamo lo stesso universo di riferimento. A volte, sul set ci basta uno sguardo per capirci».
Le ci vollero quattro anni per la pellicola successiva: Lazzaro felice fece ancora centro sulla Croisette, vincendo il premio per la sceneggiatura. «Riconoscimento per una storia», spiega la regista, «che ci dice che l’uomo senza spiritualità non è niente».

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

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