Riannodare i fili della pace
Proprio quando pensavamo che il mondo si fosse incamminato sulla strada del dialogo, questo conflitto alle porte d’Europa segna un ritorno al passato. Ecco perché è importante vigilare sulla tenuta della democrazia, contro ogni forma di autoritarismo.
Quella contro l’Ucraina non è una guerra tra le altre, non è soltanto una parte di quella terza guerra mondiale «a pezzi» di cui spesso ha parlato papa Francesco.
Si tratta, in primo luogo, di una guerra che coinvolge una nazione, l’Ucraina, che dista poco meno di due ore di volo dall’Italia e ha come teatro quell’Europa che ha conosciuto uno straordinario periodo di pace dalla fine della Seconda guerra mondiale.
L’invasione è stata deliberata da una potenza nucleare contro uno Stato sovrano che si era sganciato dall’orbita russa per motivi che ci riguardano direttamente: è in gioco il rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli e la dinamica dei rapporti internazionali.
Per anni siamo stati convinti che il mondo si fosse incamminato su un percorso di pace segnato dal confronto e dal dialogo: oggi la decisione di Putin ci dice che non è così.
L’incontro tra le nazioni, il rispetto delle decisioni assunte da Stati sovrani all’esito di un procedimento democratico, l’autodeterminazione di un popolo cedono dinanzi alle logiche della potenza militare. Semplicemente questa guerra ci dice che chi è più forte non ha alcuna remora a esercitare la propria forza ai danni del più debole. A nulla valgono i principi internazionali, il dialogo, i luoghi e le istituzioni di composizione: ciò che conta è la forza delle armi. Dobbiamo prendere atto che è venuta meno la grammatica con la quale costruire un linguaggio di confronto.
Questo implica una serie di conseguenze che solo apparentemente sono lontane da noi. Si tratta di mettere in conto che gli anni a venire, con molta probabilità, segneranno il ritorno della logica della contrapposizione tra i blocchi e la riproposizione dei temi della deterrenza e della deterrenza nucleare. Come avvertiva il Papa nel recente messaggio per la pace, questo inevitabilmente comporterà la corsa al riarmo con investimenti ingenti nel settore militare e sottrazione di risorse alle politiche di sostegno alle situazioni di fragilità.
Molto probabilmente si affermerà una logica di perdurante tensione, nella quale i rapporti tra gli Stati saranno regolati dalla paura reciproca e dall’attualizzazione dei temi che i più vecchi tra noi hanno vissuto ai tempi della Guerra fredda: lo chiamavano «l’equilibrio del terrore».
Dobbiamo poi prendere atto del fatto che gran parte del mondo non capisce o non può capire il linguaggio della non-violenza e del dialogo. I feroci mezzi di repressione del dissenso dimostrano che è difficilissimo per le popolazioni governate da oligarchie autocratiche potersi formare una opinione e fare valere un pensiero diverso. Dal canto nostro, abbiamo troppo presto dimenticato i fatti di Tienanmen e ci siamo illusi che la Russia potesse essere un interlocutore affidabile.
Non si tratta di temi astratti di geopolitica, ma di questioni che incidono direttamente sulle nostre vite, chiamate oggi a sperimentare l’assoluta impotenza dinnanzi a scelte più grandi di noi.
Il seguito sulla rivista.
di Biagio Politano