Dobbiamo diventare genitori autorevoli
A uno come me, che non ama il proibizionismo, non è un fanatico del potere della norma, non esulta per ogni intervento a gamba tesa delle forze dell’ordine, l’appello di stimati pedagogisti al governo per vietare lo smartphone fino a 14 anni e i social fino a 16 potrebbe apparire vagamente contraddittorio. È stato lanciato alcune settimane fa e non è passato sotto silenzio. I genitori che non riescono a trovare una soluzione nel confronto-scontro quotidiano con i propri figli sul tema di fronte a questa proposta si sono schierati. O almeno si sono posti il dilemma. Non tutti sono d’accordo con l’eventuale provvedimento, alcuni sono critici pur riconoscendone le ragioni di fondo.
«Le neuroscienze hanno ormai dimostrato che ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe, invece, vivere nel mondo reale», scrivono gli scienziati. E aggiungono: «I bambini e le bambine che utilizzano strumenti tecnologici e interagiscono con gli schermi subiscono due danni: il primo diretto, legato alla dipendenza; il secondo indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita».
Allora, che fare di fronte a strilli e strepiti? Si vieta. Ma c’è anche chi invita a «distinguere tra il digitale buono e il digitale cattivo» (Stefano Rossi, psicopedagogista) e chi crede «più utile la spiegazione piuttosto che il divieto», suggerendo «considerazione, rispetto e stima delle potenzialità dei nostri ragazzi» (Francesco Dell’Oro, consulente specializzato nell’orientamento scolastico).
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di Vittorio Sammarco