«Sulle vettetrovo Dio»

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Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, parla del suo amore per le montagne, che suggeriscono il senso del limite. E che andrebbero rispettate e valorizzate.

Verrebbe da dire un prete di strada, ma anche di sentiero. «Sono nato a Pieve di Cadore e sono orgoglioso di essere montanaro. E porterò le montagne sempre dentro di me come un essenziale desiderio di bellezza e infinito». Parole di uomo di montagna, oltreché di iscritto al Club alpino italiano (Cai): don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, non perde occasione di rammentare le sue origini dolomitiche.
Lo ha fatto anche nell’applauditissimo intervento all’ultimo congresso nazionale del Cai, tenutosi a Roma a fine novembre scorso. Un richiamo al proprio passato per illuminare il futuro delle terre alte. «La montagna ha una storia lunga, ricca di valori, che oggi sembrano un po’ sbiaditi, consunti da parole svuotate di contenuti, come sviluppo o sostenibilità. Tutti parlano di green, ma poi dimenticano la storia passata della nostra gente, dei nostri montanari, che è fatta di una convivenza che aveva ben presente i limiti. Comunità nate con i valori della cooperazione, della solidarietà, della redistribuzione dei beni; cresciute con la necessità di coltivare al meglio i pascoli e tenere i boschi. Oggi dobbiamo chiederci cosa rimane di questi valori e perché la montagna si sia lasciata omologare ai bisogni delle città e dei cittadini».
Parole dure come la roccia e taglienti come il ghiaccio. Ma quanto mai opportune in tempi di assalto alle vette, scriteriato turismo d’alta quota e progetti speculativi su eco-sistemi sempre più fragili.
Nell’epoca del no-limit, il concetto del limite, per don Ciotti, è l’unico approccio responsabile alle montagne e alla loro frequentazione e abitabilità. E proprio il senso del limite è stato più volte invocato da vari relatori saliti sul palco del Cai. Nelle stesse tesi congressuali se ne parla mettendo in guardia da chi in passato ha contrapposto l’idea di libertà e, appunto, quella di limite. «Non è segno di novità, ma solo sintomo di disadattamento, replicare in un oggi che è drasticamente modificato gli schemi di ieri, fondati anzitutto sul valore della competizione e dell’assenza di limiti e remore. In un’epoca di grandi cambiamenti ambientali, è ormai noto come anche i comportamenti e le attività non responsabili, condotte da frequentatori non attenti ai valori ambientali della montagna, possono impattare sulla biodiversità e sugli ecosistemi», scrive Riccardo Santolini, coordinatore scientifico del congresso. Limite, cioè, non significa vivere la montagna mortificando l’iniziativa umana, bensì assumere una nuova, necessaria coscienza del fatto che la tutela delle terre alte e dei suoi paesaggi (oggi riconosciuta anche dalla nostra Costituzione, con la modifica dell’articolo 9) passa attraverso nuove visioni e strategie per la conservazione della natura di questi luoghi e, insieme, per la permanenza delle popolazioni.

Il seguito sulla rivista.

di Alberto Laggia

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