L’attrice straniera che ama l’Italia
Bérénice Bejo, argentina di origine e francese di adozione, recita in Another end (Un’altra fine), il suo quarto film italiano in pochi anni. Le piacciono le nostre pellicole. E se la chiamano qui, lei corre.
Bellissima sullo schermo, intrigante, ricca di fascino. Bérénice Bejo è interprete tanto brava quanto intelligente, attenta al riscatto femminile. In più è mamma, quindi capace di conciliare l’impegno sul set con le esigenze familiari. A renderla poi speciale è il fatto che, pur essendo un’attrice europea a tutto tondo, è stata in grado di conquistare spettatori e critici di tutto il mondo. Ed è una che sa bene cosa voglia dire la parola immigrazione: i suoi genitori, Silvia e Miguel, erano attivisti civili in Argentina, sotto la dittatura militare del generale Jorge Videla, e a fine anni Settanta dovettero abbandonare in fretta Buenos Aires, con lei bambina, per trovare rifugio in Francia. A Parigi si costruirono una nuova vita garantendo un futuro alla piccola Bérénice che, accostatasi alla recitazione durante gli studi, ha fatto la classica gavetta. Fino a imbroccare i titoli giusti e a balzare nel cuore del grande pubblico vestendo i panni di Peppy Miller (attrice della Hollywood di fine anni Venti, in bilico tra cinema muto e sonoro) in The artist: cinque premi Oscar nel 2012, tra cui quello per il miglior film (un’eccezione per una pellicola muta e in bianco e nero) e quello per la miglior regia andata a Michel Hazanavicius, francese sì, ma di seconda generazione (appartenente a una famiglia ebrea ashkenazita fuggita da Lituania e Polonia), e coniuge di Bejo. Niente statuetta allora per la bella Bérénice, però lei non se n’è mai fatta un cruccio, sfruttando lo slancio per una carriera ricca di successi, ma anche di contenuti. «Ho sognato questo mestiere fin da bambina», confida Bejo, 47 anni, di cui almeno 25 trascorsi sul set. «Ora, però, basta con i drammi, a meno che non mi chiami Pedro Almodòvar. Ho bisogno di stupirmi, di fare qualcosa di stravagante o di personaggi sopra le righe. Due anni fa, assieme a mio marito Michel, mi sono divertita ad aprire il Festival di Cannes con Coupez!, una parodia dei film sugli zombie che ha fatto ridere tutti sulla Croisette. Ed è per questa voglia di scoprire che ho detto di sì a Piero Messina e al suo Another end. Letta la sceneggiatura ero confusa. Sentivo la profonda originalità, il suo porre domande complesse che non hanno risposte. Poi, ho capito che è un capolavoro. Una storia insolita, in delicato equilibrio tra mélo e fantascienza».
Il seguito sulla rivista.
di Maurizio Turrioni