Guai a difendere i figli quando sbagliano

La fiera delle ipocrisie per tutelarsi da contestazioni. Ricordate i giorni in cui si pronunciavano parole amare per compiangere Satnam Singh, giovane indiano di 31 anni morto nell’Agro Pontino alla fine di giugno, dopo un tragico incidente? Con l’aggravante di essere stato lasciato agonizzante con un braccio mozzato, senza ricevere soccorso e senza essere trasportato tempestivamente in ospedale dove avrebbe potuto salvarsi? Spero di sì, nonostante leggiate queste righe mesi dopo.
Leggi, provvedimenti, progetti, strategie, per contrastare il caporalato e introdurre sistemi di sicurezza. Perché «non si può morire sul lavoro», dicono quelli che hanno un animo delicato. Ma ci si dimentica troppo facilmente delle parole del padre del principale indagato, che (ecco perché lo ricordo qui) ha difeso la crudele scelta del figlio, finita in un abbandono irresponsabile e mortale. Quelle parole sono il segno di un «me ne frego» di cui si sta piano piano intessendo la nostra società. C’è poco da fare: le nostre ragioni, i nostri interessi (e quindi il lucro, la velocità frenetica per arrivare primi, il mancato rispetto delle regole e dei più elementari diritti umani) rischiano di avere il sopravvento. Una società che si sfilaccia non per degrado, ma per gli interessi dei più, che nell’autonomia (sì, sì, c’entra anche questa) vede il terreno fertile per coltivare il proprio tornaconto. Ebbene, se è questa la cultura che va trionfando, immaginare e proporre una cultura opposta e controcorrente (fatta di solidarietà, rispetto, accoglienza, umanità) rischia di essere quantomeno illusorio, se non inopportuno.

Il seguito sulla rivista.

di Vittorio Sammarco

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