La saggezza dei genitori di Sinner
Sono provocatorie le parole lette in un giorno di entusiasmo sportivo, quando si celebrano le glorie di un campione. Si tratta di Jannik Sinner, tennista poco più che ventenne, che ha vinto (dopo aver contribuito a riportare in Italia la prestigiosa coppa Davis) il famoso torneo in Australia. Nell’inverno italiano del 2024 splende l’impresa dell’altoatesino Jannik. E splendendo dà energia, entusiasmo, emozioni a un popolo intero, a volte un po’ depresso.
Allora perché le parole sono provocatorie? Mettiamola così: perché, pur facendo seguito a un’impresa, sono semplici, sincere, misurate e per nulla clamorose, affrancate dal vizio diffuso di farsi vedere, riconoscere, apprezzare, esaltare.
Madre e padre, elogiati nelle interviste e ricordati pubblicamente per aver lasciato il piccolo talento, a suo tempo, libero di scegliere e autodeterminarsi, non hanno aggiunto dichiarazioni al successo del figlio. Non si sono illuminati di luce riflessa, non hanno mutuato la gloria.
Quante lezioni in quei silenzi, in quelle misurate parole. In quella capacità di riconoscere chi merita veramente gli applausi per ciò che ha fatto e per ciò che ha costruito grazie al proprio valore.
Abbiamo per anni ascoltato echi e riflessioni pacate dei Tognazzi, dei Gassmann, dei De Andrè, per dirne alcuni (ora magari, dopo Sanremo, avremmo volentieri ascoltato l’esultante Mango), che, dotati di meriti propri (e giganteschi), avrebbero gioito per quelli riconosciuti ai figli. E ne abbiamo giustamente goduto.
Maurizio Crosetti, nell’articolo del 29 gennaio scorso intitolato Il ragazzo di ghiaccio che ci regala il fuoco, si chiede: «Com’è possibile, a ventidue anni, governare in questo modo le pulsioni profonde?». Un testo che compare (lo stesso giorno, sullo stesso giornale) a fianco di un altro, dello psicoanalista Massimo Recalcati, dal titolo L’evaporazione del padre. Articolo ricco e attuale (da recuperare), che si conclude auspicando «una legge che coincide con quella di un padre che non domina più la vita dei figli o dei sudditi, ma che si offre come un ponte che unisce, una forza che sa generare comunità».
Giusto. E aggiungo, sollecitato dalla fortuita coincidenza dei due articoli nella stessa pagina, che un bellissimo esempio lo abbiamo con la testimonianza dei Sinner (padre e madre). Sapranno gli inorgogliti e fervidi tifosi del tennista italiano apprezzare, facendone tesoro, la misura e la saggezza di chi il campione lo ha cresciuto e amato?
Il seguito sulla rivista.
Di Vittorio Sammarco