L’artista che dipingeva i sogni

A quarant’anni dalla morte di Joan Mirò, nel mondo e anche in Italia si moltiplicano le mostre che gli rendono omaggio. E che ricordano la sua arte innovativa, funambolica e geniale.

Sono passati quarant’anni dalla morte di Joan Mirò, uno dei più noti e popolari artisti del Novecento. Quest’anno si stanno perciò moltiplicando, in tutto il mondo, le mostre a lui dedicate. In primo piano quella organizzata dalla Fondazione che il pittore stesso aveva fondato a Barcellona, sua città natale. L’artista, spirito geniale, nato nel 1893, si è spento nel 1983 nella sua casa di Maiorca, mentre, novantenne, era ancora alla ricerca di qualcosa di nuovo e di diverso, una continua invenzione che era il suo modo di scoprire e praticare un’arte in perpetuo mutamento. Per lui la vita è stata, infatti, un ininterrotto esperimento, un’occasione di vedere il mondo, la natura, le persone che gli permise di attraversare e anche di precorrere i sussulti innovatori dell’arte del secolo scorso, senza mai aderire in modo permanente a nessuna scuola o movimento artistico. Dopo aver frequentato nel 1912 l’Accademia di Barcellona, aprì il suo studio come pittore e a 25 anni tenne la sua prima mostra personale, dove fu esposto anche un quadro diventato famoso: L’orto e l’asino. Due anni dopo si trasferì a Parigi, cuore della rivoluzione che stava cambiando l’arte mondiale, dove frequentò Pablo Picasso e il circolo dadaista di Tristan Tzara. Nel 1924, trentenne ancora alla ricerca di una propria visione della pittura, aderì all’estrema avanguardia di allora, il Surrealismo. In quegli anni dipinse alcuni dei suoi capolavori, come Il carnevale di Arlecchino e il Ritratto di madame X. Quella del movimento surrealista fu un’esperienza determinante, ma non bastava: iniziò a usare uno stile sempre più estremo e innovativo, tanto che André Breton, teorico e ispiratore del Surrealismo, lo definiva «il più surrealista di tutti noi».
Ma Joan non poteva accettare gli stretti confini imposti all’arte da quel maestro e nel 1929 lo abbandonò. Il Surrealismo rimase comunque alla base del suo nuovo percorso: senza regole imposte, Mirò creò altri straordinari capolavori. Da allora fu sempre alla ricerca di nuovi mezzi di espressione. Disprezzava le tecniche pittoriche tradizionali, dichiarò di volerle uccidere, di voler compiere un «assassinio della pittura».

Il seguito sulla rivista.

di Tina Lepri

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