Il pane, simbolo di condivisione

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È uno degli alimenti più antichi, risorsa cruciale per tante civiltà e, nello stesso tempo, elemento fortemente evocativo in molte culture e religioni di tutto il mondo.

C’è in tutto il mondo, è uno degli alimenti più antichi e fondamentali dell’umanità, tant’è che le sue origini sono difficili da tracciare con precisione. Si ipotizza che l’uomo abbia iniziato a fare il pane intorno al 10 mila a.C. con la scoperta dell’agricoltura e la coltivazione dei cereali. Le prime società agricole, che svilupparono tecniche per macinare il grano, iniziarono a impastare la farina ottenuta con l’acqua e a cuocere il pane, piatto e non lievitato, sulle pietre calde. Nel corso dei secoli il pane è stato una risorsa cruciale per le civiltà: le tecniche di panificazione si sono diversificate ed evolute, dando vita a una varietà di prodotti, dalla pita del Medio Oriente alla baguette francese, fino al pane giapponese al vapore.
Ancora oggi un simbolo in molte società del mondo, il pane è spesso associato a concetti universali come nutrizione, vita, prosperità, fertilità, ma ha anche assunto diversi significati in vari contesti sociali e religiosi.
Per esempio, è spesso collegato alla condivisione, dato che può essere suddiviso tra molte persone, diventando simbolo di comunità, solidarietà, generosità. L’atto di spezzare il pane è un gesto di amicizia in molte culture. Nei popoli slavi, all’ospite che entra in un ristorante viene tutt’oggi offerto un pezzo di pane e del sale, come segno di benvenuto e di accoglienza.
Nelle tre principali religioni monoteiste è un elemento potentemente evocativo. Durante la festa ebraica della Pasqua (Pesach), il pane azzimo (matzah) ricorda la fuga degli ebrei dall’Egitto e la liberazione dalla schiavitù: è senza lievito, perché furono costretti a partire in fretta per sfuggire agli oppressori. Anche nell’Islam il pane ha un significato speciale: durante il mese sacro del Ramadan, è il primo cibo che i musulmani consumano dopo il tramonto e segna la fine del digiuno quotidiano.

Il seguito sulla rivista.

di Lucilla Perrini

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