Tempo di relax

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Con i mesi estivi arrivano le tanto attese vacanze, che segnano una cesura con la quotidianità. Un periodo in cui cercare un’esperienza totale, alla scoperta dell’altro e dell’altrove. Per ricrearsi e rigenerarsi davvero.

È arrivata l’estate e con essa ciò che per mesi abbiamo sognato: le vacanze, che restano “sacre”, intoccabili. Non è un caso che in inglese vacanza si dica holiday, da holy day (giorno sacro). Si tratta di un periodo fuori dall’ordinario, tant’è che le analisi sulle destinazioni scelte dagli italiani evidenziano che chi vive in montagna preferisce andare in ferie in città o al mare, chi abita al Nord desidera puntare al Sud, chi vive una quotidianità piena di impegni lavorativi cerca un luogo in cui rilassarsi, chi conduce una vita tranquilla cerca una vacanza avventurosa e, magari, con qualche trasgressione.
«È l’ingresso in un tempo non ordinario», scrive Giovanni Dall’Ara in Perché le persone vanno in vacanza? (Franco Angeli editore), «quello della vacanza appunto, che permette alle persone di fare delle cose che nella vita quotidiana non sarebbero possibili. Ma l’accesso a un tempo non ordinario, cioè sacro, può essere affrontato solo con dei riti, come la storia delle religioni insegna. E le nostre vacanze sono piene di rituali, a cominciare da quelli della partenza e del distacco (in tantissimi Paesi vige il detto “partire è un po’ morire”), per proseguire con le cerimonie che accompagnano pranzi e banchetti o l’acquisto del feticcio, il souvenir, il cui compito è quello di dimostrare che il rito della vacanza è stato portato a termine, per concludersi con i riti del rientro, quando tutti vestiamo le nuove insegne, che mostrano che il rito ci ha resi persone diverse: dall’abbronzatura alla maglietta con la scritta I love New York».
Ma come è nata la vacanza come pausa da tutti e da tutto? Facciamo un passo indietro, accompagnati da Edoardo Martinelli, docente cultore di Antropologia all’Università Cattolica di Brescia.
La vacanza, racconta, «è un rito di massa che si svolge da quando ai lavoratori è stato concesso più tempo libero: la società industriale ha favorito questo fenomeno, dapprima elitario, poi generalizzato. La società agricola non ammetteva periodi prolungati di assenza dal lavoro, ma in compenso aveva molte più feste, molto più tempo “sacro”. Tornando ancora più indietro, già gli imperatori romani si concedevano dei tempi di “ferie” per sfuggire all’aria pesante di Roma e anche i nobili e i mercanti veneziani andavano in villeggiatura, come Carlo Goldoni narra nelle sue commedie. Karl Marx considerava necessario un periodo di non-lavoro affinché il lavoratore potesse riposarsi e rigenerarsi dopo un anno di fatica alienante. E anche le altre classi sociali erano solite concedersi periodi di evasione non solo dalla quotidianità e dalla routine, ma anche dai luoghi in cui si vive tutto l’anno».

Il seguito sulla rivista.

di Lucilla Perrini

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