Il sommo scultore che salvò l’arte
Sono trascorsi 200 anni dalla morte di Antonio Canova, il principale interprete del Neoclassicismo. Fu grazie a lui che l’Italia ottenne la restituzione dei capolavori saccheggiati da Napoleone.
Sono passati 200 anni dalla morte di Antonio Canova, il più importante e famoso scultore italiano tra Settecento e Ottocento. La sua notorietà fu grande in tutta Europa, le sue opere in marmo sono ammirate nei principali musei del mondo. Nato a Possagno, piccolo paese del Veneto, nel 1757, aveva quattro anni quando perse il padre, abile tagliapietre. Fu il nonno a curarsi dell’educazione del bambino. A 11 anni lo mandò a Venezia a lavorare, di giorno, come garzone di bottega. La sera, invece, la mandò a imparare l’arte della scultura all’Accademia del nudo in una scuola di San Marco, dove scoprì i segreti del marmo. A 16 anni era già noto per due canestri di frutta, oggi al Museo Correr di Venezia. Tre anni dopo presentò con grande successo alla Fiera annuale dell’arte veneziana le sfolgoranti sculture di Orfeo e di Euridice che gli aprirono le porte del mondo dell’arte.
Ormai noto per il suo talento, si trasferì a Roma, su invito del famoso pittore Anton Mengs, dove poté ammirare le sculture classiche dell’arte romana e greca. Fu allora che Canova abbracciò con entusiasmo le idee dello storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, che giudicava l’arte greca superiore a quella romana perché «la principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza. Come la profondità del mare resta immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, anche se agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e tranquilla».
L’artista applicò questo principio diventando, con le sue sculture, il principale interprete dello stile neoclassico, come alla corte di Napoleone il pittore Jaques-Louis David. A partire dal 1780 per Canova fu un ininterrotto trionfo.
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di Tina Lepri