Don Luigi Di Liegro, l’uomo della carità

«La carità non è un vago sentimento di compassione, né si fonda su un sentimento di altruismo ingenuo, ma nasce dalla complessità sociale, dai guasti provocati dal sistema sociale disordinato, dal degrado morale e culturale provocato dalla legge del più forte, dalla carenza di etica collettiva. Il volontario cristiano trova continuamente la motivazione del suo servizio nella fede. Il cristiano non solo rispetta l’altro, ma lo ama. Il fratello in difficoltà non è considerato come semplice fruitore di un servizio, bensì come attore protagonista, al quale si ridà pari dignità». Queste le parole di don Luigi Di Liegro, del quale ricordiamo i 25 anni dalla morte, avvenuta il 12 ottobre del 1997.

Nato a Gaeta, ordinato sacerdote nel 1953, viene subito mandato in una parrocchia operaia della periferia romana, nel 1957 è nominato prima vice assistente e poi assistente del Movimento lavoratori della Gioventù italiana di Azione cattolica e sette anni più tardi diventa responsabile dell’ufficio per la pastorale della diocesi di Roma, ripensando all’organizzazione dell’intera diocesi. Qualche anno dopo viene chiamato a dirigere il Centro pastorale diocesano per l’animazione della comunità cristiana e i servizi sociali. E lì tocca con mano la povertà e l’emarginazione dei primi immigrati.

Nel 1979 dà vita alla Caritas diocesana di Roma, pensata per praticare «una carità che tende a liberare le persone dal bisogno e quindi a renderle protagoniste della propria vita». Per don Luigi «non bastava limitarsi a interventi di tipo emergenziale», si legge sul sito della Fondazione internazionale a lui intitolata. «Occorreva invece elaborare modelli innovativi d’intervento, grazie anche a un’intensa attività di studio e di ricerca che lui considerava indispensabile. Il carattere innovativo e lungimirante dei servizi da lui creati ne fa ancora oggi un perno essenziale del sistema di welfare della città». Così nascono centri di ascolto, ambulatori, centri di raccolta e distribuzione di medicinali, un ostello, una mensa.

La carità per don Luigi non è elemosina: «I nostri spiriti ottusi», scrive, «hanno fatto dell’aiuto ai poveri una sorta di dovere moralizzante che consiste nel “fare la carità”, nell’essere solidali. Ma la solidarietà, come la carità, sono un’altra cosa. Prima di essere un dovere, sono uno stato di fatto, una constatazione. Significa sentirsi legati a qualcuno, condividere la sua sorte, mettersi nei suoi panni, compatire, cioè “patire con”».

Quella di don Luigi è stata un’incessante battaglia per l’inclusione, in difesa dell’umano, perché «non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *