L’eclettismo di un genio
A 190 anni dalla morte, un omaggio a Johann Wolfang Goethe, scrittore, poeta, saggista, drammaturgo, ma anche filosofo, pittore, scienziato, teologo, critico d’arte tedesco.
Oggi il sapere è parcellizzato, le discipline sono sempre più specialistiche e, proprio per questo, hanno pochi punti di incontro. A superare le rigide suddivisioni tra categorie sono persone capaci di sostare sul confine e di fare sintesi delle differenze. Per esempio, Carlo Emilio Gadda e Primo Levi, rispettivamente ingegnere e chimico, entrambi grandi scrittori. Allo stesso modo, Johann Wolfgang Goethe, il più celebre autore tedesco, di cui ricorrono i 190 anni dalla morte, è stato uomo di lettere e intellettuale, ma si è anche occupato di disegno, botanica, mineralogia (il minerale goethite prende il nome da lui), geologia, anatomia, scoprendo l’osso inframascellare. Proprio per la poliedricità degli interessi e la vastità delle conoscenze, è stato definito dalla scrittrice George Eliot «l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra».
Cresciuto in una famiglia borghese, Goethe mostra tratti di genialità sin dalla più giovane età. Impara più lingue e inizia a scrivere ancora bambino per il teatro delle marionette. Si iscrive alla facoltà di legge, compone versi poetici e subisce l’influenza del pietismo, che lo porterà per tutta la vita a cercare il divino nella natura.
Caratteristica della sua produzione è la disposizione a fare convergere vita e poesia, come dimostra I dolori del giovane Werther, il romanzo epistolare del 1774 che anticipa i temi tipici del Romanticismo, ispirato a un’esperienza autobiografica. Considerato «il primo libro di successo mondiale», apprezzato anche da Napoleone, che sosteneva di averlo riletto sette volte, negli anni successivi alla pubblicazione dà origine al fenomeno della “febbre di Werther”, con i giovani europei che si vestono come il loro beniamino letterario e, nei casi più estremi, si uccidono (si contarono circa duemila suicidi da parte di lettori dell’opera in quel periodo).
Il seguito sulla rivista.
di Marta Perrini