Fëdor Dostoevskij, ritratto di un genio

A 200 anni dalla nascita, omaggio all’autore di I fratelli Karamazov. Uno dei più grandi scrittori del mondo, fine indagatore dell’animo umano e di temi come fede, dolore, giustizia, redenzione.

Virginia Woolf ha descritto i suoi romanzi come «mulinelli ribollenti, tempeste di sabbia che girano, trombe marine che fischiano e ci risucchiano, composti esclusivamente dalla sostanza dell’anima. Contro la nostra volontà ne siamo attratti, girati, accecati, soffocati, e allo stesso tempo riempiti di un’estasi vertiginosa». Lev Tolstoj, pur senza averlo mai incontrato, lo ha definito «l’uomo a me più caro e più vicino, la persona di cui avevo più bisogno», autore del «miglior libro di tutta la letteratura». Amato da Kafka, Nietzsche, Freud, considerato non solo uno dei più grandi scrittori mai esistiti, ma anche un autore di filosofia contemporanea per la capacità di dare carne a pensieri e concetti, Fëdor Michajlovič Dostoevskij è letto e apprezzato in tutto il mondo ancora oggi, a duecento anni dalla nascita (11 novembre 1821). Secondo di sette figli, appena sedicenne rimane orfano dell’amatissima madre e a diciotto del padre, dispotico proprietario terriero ucciso dai propri contadini. Avvenimenti che causano al giovane Dostoevskij quegli attacchi epilettici di cui soffrirà per tutta la vita. Si diploma come ingegnere alla Scuola militare, lavora come sottotenente a San Pietroburgo e, per combattere una cronica indigenza, di notte traduce dal francese e dal tedesco. 
A 25 anni abbandona la carriera per dedicarsi alla letteratura e pubblica Povera gente, romanzo che raccoglie un clamoroso successo, a cui seguono Il sosia e Le notti bianche. In questi primi lavori emergono già alcuni temi che saranno cari all’autore maturo, come la sofferenza per l’uomo socialmente degradato e incompreso e le conseguenze della miseria sull’animo umano.

Il resto sulla rivista.

di Marta Perrini

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