L’orchestra, sinfonia plurale
Il direttore Riccardo Frizza, bresciano doc, con all’attivo concerti in tutto il mondo, si racconta. Sottolineando come la migliore musica si faccia solo insieme, dando vita a un’armonia collettiva e globale.
Riccardo Frizza, 52 anni appena compiuti, bresciano doc, ma residente in Spagna, vive e lavora in giro per il mondo. Direttore musicale del Donizetti Opera Festival e direttore principale della Hungarian Radio Symphony Orchestra di Budapest, ha sempre avuto la musica nel sangue. Nel corso della sua carriera ha lavorato nei teatri d’opera e nelle sale da concerto in diversi Paesi del mondo, a cavallo tra opera lirica e musica sinfonica, senza mai dimenticare le sue grandi passioni: i motori, la cucina, i luoghi della sua infanzia, dove ha scoperto la musica.
Maestro Frizza, com’è avvenuto il suo incontro con la musica?
«È avvenuto abbastanza per caso. Quando ero bambino, dopo la Messa, andavo a casa e giocavo con una piccola pianola. Poi a sei anni ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte».
I suoi genitori l’hanno sempre supportata nella sua scelta?
«Assolutamente sì, mi hanno sempre appoggiato e accompagnato, anche perché quando tornavo a casa trascorrevo ore e ore su quella pianola giocattolo, cercando di riprodurre le note e gli accordi che ascoltavo la domenica in chiesa. Capirono che tra me e la musica c’era un’affinità».
Ha cominciato a studiare musica a Brescia?
«Sono nato a Bagnolo Mella, un paese di provincia. Qui c’è una parrocchia molto grande, con un oratorio che propone tante attività, tra cui il coro, al quale sono molto legato e che ho frequentato fino all’adolescenza. Una realtà che mi ha insegnato tantissimo».
Com’è arrivato alla direzione d’orchestra?
«Un po’ per caso. Una volta iscritto al Conservatorio, verso i 14 anni, ho avuto un momento di difficoltà. Non ero più contento, avevo capito che la solitudine del pianista mi stava stretta. La Pasqua successiva l’ho trascorsa a Vienna e lì ho visto per la prima volta dal vivo un’orchestra, era diretta da Herbert von Karajan. Per me fu un’illuminazione».
Nella sua famiglia la musica è di casa. Sua moglie, Davina Rodriguez, è un soprano. Come vi siete incontrati?
«Ci siamo incontrati in una produzione dell’Elisir d’amore al Festival dell’opera Alfredo Kraus a Las Palmas de Gran Canaria, dove lei era stata chiamata all’ultimo momento per sostituire una collega, nel lontano 2005».
Un’altra grande passione oltre alla musica?
«Ho sempre coltivato due passioni che di primo acchito possono sembrare contrastanti: la musica e la meccanica, che per tanti anni sono stati i miei due lavori. Due binari che appaiono distanti, ma che credo siano molto più vicini di quanto si pensi. Nella meccanica c’è molta razionalità, si impara a risolvere un problema velocemente. E questo mi ha aiutato molto, nella musica e nella vita».
Dal 2017 è direttore musicale del Donizetti Opera Festival di Bergamo. Com’è cresciuto questo evento negli anni?
«Da quando è nato il festival di Bergamo, il direttore artistico Francesco Micheli e io abbiamo lavorato moltissimo per farlo crescere e per fargli avere il riconoscimento internazionale che ha oggi. Per me è stato importante, perché è stato prima di tutto uno stimolo grandissimo. Gaetano Donizetti è un compositore relativamente poco conosciuto, che ha, invece, molto da dire. E il festival svolge un ruolo importantissimo da questo punto di vista».
Il seguito sulla rivista.
di Daniele Valentino