Trent’anni senza don Tonino Bello

In un pomeriggio di primavera di trent’anni fa le campane suonarono a festa. Erano da poco passate le tre del pomeriggio e da giorni si attendeva la notizia. Lo aveva scritto lui stesso in una intensa lettera: «Un vescovo deve soffrire e morire tra i suoi figli dove il Signore lo ha collocato. Sono contento di questo e farò di tutto per non rendere pastoralmente inutile questo periodo. Anzi, ho intenzione di inventarmi qualcosa». Furono settimane intense. Le ultime come ognuna delle settimane dei dieci anni di episcopato di don Tonino Bello. Più ci penso e più mi convinco che questi trent’anni senza don Tonino sono stati anni pieni quanto i dieci di episcopato. Trent’anni nei quali la parresia di don Tonino si è resa più chiara, limpida, sfidante. L’assenza ha liberato la sua profezia, ha dato valore a ognuna delle sue azioni, parole, scelte. Che avessimo a che fare con una persona straordinaria lo avevamo intuito. Il fatto poi che questa persona fosse un vescovo rappresentava per molti la speranza che la dottrina della Chiesa potesse veramente ispirarsi al Vangelo e liberare il sacro in ognuno e ognuna. Don Tonino era divisivo perché vedeva e sapeva vedere lo scarto tra il già e il non ancora. E del ritardo del non ancora era capace di indicare le responsabilità, le zone oscure, le aree di protezione nelle quali sostiamo per arginare il cambiamento.

Il seguito sulla rivista.

di Elvira Zaccagnino

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