Il profeta disobbediente

A un secolo dalla nascita, ricordiamo don Lorenzo Milani. Maestro della scuola popolare di Barbiana, obiettore, «parroco di montagna», come amava definirsi. Un ribelle che diffondeva il messaggio evangelico.

A 100 anni dalla nascita, per capire don Lorenzo Milani, bisogna andare a riprenderlo dall’inizio. Perché una delle sue disgrazie è stata che si sia arrivati a lui a partire dalla fine, cioè da quella Lettera a una professoressa, uscita quasi in articulo mortis nel maggio del 1967: subito, più che letta, citata a spizzichi, scambiandola per un manifesto da consegnare ai posteri senza contesto, a cominciare dalla famosa frase «la scuola non può bocciare», tramandata dimenticandone più o meno consapevolmente un pezzo perché l’originale diceva: «La scuola dell’obbligo non può bocciare».
Per ridare a don Milani il suo, occorre ricomporre i frammenti, riavvolgere il nastro, ricontestualizzarlo nel tempo e nello spazio, perché diversamente se ne fa un uomo per tutte le stagioni, cosa che non era. Aveva, tra l’altro, un modo paradossale di dirlo: «Se credessi […] che bisogna amare tutti, mi ridurrei in pochi giorni un prete da salotto cioè da cenacolo mistico-intellettual-ascetico e smetterei d’essere quello che sono, cioè un parroco di montagna che non vede al di là dei suoi parrocchiani». Anche questo della battuta tagliente è un punto da ritrovare: se non si rende Milani alla sua toscanità ironica e provocatoria, nelle sue parole si leggono massime scolpite nella pietra, ed è forse quello che, da friulano conservatore, accadde al vescovo Ermenegildo Florit, che vide in lui anche per distanza culturale – su un altro pianeta, dicono oggi a Firenze persone che erano vicine a Milani, come Adele Corradi – «lo zelo fustigatore». Un fraintendimento colossale, perché nessuno degli scritti di don Lorenzo Milani nasce programmatico, fuori dalla contingenza.
Ogni sua parola pubblica è il frutto di un’esperienza vissuta, spesso una reazione meditata – tra Firenze, Calenzano e il monte dei Giovi, in Mugello – e poi condivisa con spirito di carità, con la fiducia nella parola come essenza dell’espressione umana – di qui l’idea di insegnare soprattutto lingua e lingue per dare, anche a chi vive in condizioni di svantaggio sociale, strumenti di pensiero e consapevolezza e dunque libertà di espressione, ossia umanità piena – ma anche strumento di evoluzione-elevazione.
Il maestro Lorenzo Milani, l’obiettore Lorenzo Milani sono incomprensibili senza don Milani, senza il sacerdozio, la sua parte più rimossa e insieme più attuale. Non si afferra “l’intero” di Lorenzo Milani se non si legge Esperienze pastorali, il libro del 1958, uscito con imprimatur e poi ritirato dal commercio dal Sant’Uffizio per ragioni di opportunità ma non d’ortodossia, uno sfregio riparato da Francesco, gesuita e «vescovo di Roma», come si definì non a caso quel giorno, primo Papa a salire a Barbiana, nel 2017, con la precisa intenzione di sanare ferite rimaste aperte lungo la storia: la recensione di Civiltà cattolica, rivista dei gesuiti che stroncò il libro senza comprenderne lo spirito, e il pericolo che il sacerdozio di Lorenzo, senza la mano tesa del suo vescovo, passasse alla storia come un «fatto privato» .

Il seguito sulla rivista.

di Elisa Chiari

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