Verso la Quaresima

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In questo periodo, che segue il Carnevale, dobbiamo fare i conti con il dolore. Che ci rende simili a Gesù, che ha saputo prendere su di sé la sofferenza e la morte per vincerle nella risurrezione.

E dopo il Carnevale, la Quaresima. Non solo un tempo per fare penitenza, ma soprattutto un momento per riflettere su noi stessi, per fare i conti con qualcosa che tentiamo sempre di allontanare: il nostro dolore, la nostra sofferenza.
D’altra parte − diciamocelo − chi non vorrebbe una buona dose di antidolorifico per alleviare il mal di denti, un’iniezione di morfina per tollerare il passaggio di un calcolo biliare oppure qualche sorso di alcol per dimenticare una delusione amorosa? Come ci viene regolarmente ricordato dai media, il consumo di antidolorifici e antidepressivi è in aumento. L’ossessione per una presunta sicurezza in tutto ciò che si compie fa parte di una tendenza anestetica, della domanda di neutralizzare il disagio e il dolore associati a qualsiasi prova, a qualsiasi potenziale pericolo. Ma il dolore investe tutti i registri dell’esistenza. Non è solo fisico, è esperienza globale e travolgente, che integra elementi psichici, sociali e spirituali.
La visione della vita che a prima vista può sembrarci anche la più naturale vorrebbe evitare con tutti i mezzi la sofferenza. Non a caso il cristianesimo è stato criticato per aver sostenuto, addirittura promosso la sofferenza. Il concetto di «sofferenza redentrice» è stato, però, spesso frainteso. Cristo, infatti, attraverso la sua predicazione, con tutto il suo ministero di guarigione, ha fatto solo una cosa: elevare l’umano dal punto di vista fisico, psichico, sociale e religioso. La fede nella risurrezione di Gesù attesta la volontà di Dio di sradicare tutto dal potere della sofferenza e della morte.

Il seguito sulla rivista.

di Roberto Ponti

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