Fantastica Cate Blanchett

AGF

Nel nuovo film di Todd Field, l’attrice interpreta Lydia Tàr, direttrice d’orchestra. Una donna che si trova faccia a faccia con questioni importanti: l’età che avanza, il tempo che passa, il senso del potere e degli affetti.

I due Oscar vinti, nel 2005 per l’interpretazione di Katharine Hepburn in The Aviator di Martin Scorsese e nel 2014 per Blue Jasmine di Woody Allen, non bastano a spiegarne la bravura. Cate Blanchett, 53 anni, metà dei quali trascorsi sul set, è per i critici la più brava e duttile della sua generazione, capace di passare da ruoli di algida eleganza (Elizabeth: the Golden Age, Babel, Carol) a personaggi estremi (Il curioso caso di Benjamin Button accanto a Brad Pitt, Robin Hood di Ridley Scott, La fiera delle illusioni di Guillermo del Toro, senza dimenticare Peter Jackson che l’ha voluta a tutti i costi nei panni di Galadriel per la sua trilogia tratta da Il Signore degli Anelli).
Intelligente, colta, curiosa al punto di spaziare da arte e storia fino all’economia, l’attrice australiana naturalizzata americana (ma che vive in Inghilterra, nel maniero del Sussex di sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes) è capace sullo schermo di raffinate seduzioni. Nella vita di tutti i giorni, però, è una donna pragmatica, niente affatto fragile, che tiene assieme la numerosa famiglia (lei e il marito Andrew, drammaturgo, sposato venticinque anni fa, hanno quattro figli: Dashiell di 21 anni, Roman di 18, Ignatius di 14, Edith di 8) senza penalizzare l’impegno civile a favore di profughi e migranti (è ambasciatrice dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati).
Insomma, un’artista vera che lascia la sua personalissima impronta. Logico che il regista Todd Field, per il ritorno dietro la cinepresa dopo quindici anni (tanti ne sono passati dal successo di Little Children), abbia pensato a lei. Forte anche della stima reciproca. «Todd non è che faccia film a getto continuo. Perciò», racconta Cate, «quando mi ha telefonato, non ho perso tempo. A volte ci metto settimane a leggere un copione. La sua viscerale sceneggiatura l’ho divorata in 24 ore. Parlava di qualcosa che riguardava sia il corpo sia il mio spirito».
Tàr, presentato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, è il ritratto urticante di una donna di successo. Una delle poche. La prima grande direttrice d’orchestra tedesca. Che, ormai all’apice della carriera, si ritrova suo malgrado a fare i conti con umane debolezze. Accentuate dal mondo, di certo fuori dalla normalità, in cui si muove. Per questo ruolo, la Blanchett ha imparato prima di tutto il tedesco. Poi a suonare il pianoforte. E soprattutto a dirigere una vera orchestra, la Dresdner Philarmonie. Il racconto ruota attorno all’ambita registrazione della Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler, ma ciò che davvero conta è quello che accade sopra e attorno al podio. Una storia tesa, in cui una donna per oltre due ore e mezza domina lo schermo. Questa donna è Cate Blanchett che, al festival sulla laguna, ha vinto la Coppa Volpi.

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *