L’uomo che aprì l’Est al mondo
Michail Gorbaciov, morto alla fine di agosto, è stato il simbolo delle riforme che hanno portato al crollo dell’imperialismo sovietico. Con lui splendeva un cielo di pace e tirava un vento di libertà.
Simbolo di un mondo che cambia, Premio Nobel per la pace che si rifiuta di inviare i carri armati a Lipsia e a Berlino permettendo la caduta del Muro nel 1989, uomo espansivo, marito innamorato che con orgoglio porta con sé la moglie nei viaggi di Stato. Questo e molto altro è stato Michail Sergeevich Gorbaciov, morto lo scorso 30 agosto a 91 anni. Di lui, sulla stampa russa e mondiale, è stato detto di tutto. Se secondo il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha contribuito a creare «un mondo più sicuro» e secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen «ha aperto la strada a un’Europa libera», secondo i media cinesi è stato «ingenuo e immaturo». Stimato in Occidente e tollerato – quando non detestato – in patria, come si evince dall’editoriale dell’agenzia di Stato Ria-Novosti: «L’antica saggezza dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Michail Gorbaciov può servire a dimostrare che le buone intenzioni di un leader nazionale sono in grado di causare l’inferno sulla terra per un intero Paese».
Caso più unico che raro, Gorbaciov è rimproverato dai suoi compatrioti per le stesse ragioni per cui l’Europa lo ammira: il convinto pacifismo, la scelta del dialogo e del confronto, il rifiuto del militarismo e dell’espansionismo, il rispetto per le donne.
Prima delle riforme politiche ed economiche, c’è l’impatto mediatico di un uomo giovane e semi-sconosciuto che arriva al potere nella primavera del 1985 in modo inaspettato e che un anno e mezzo dopo ha il coraggio di affermare che «i valori umani sono più importanti di quelli di classe». Una rivoluzione, soprattutto se a pronunciare queste parole è il segretario generale del partito comunista, a capo dell’Urss. La vera novità, come ha notato la scrittrice Elena Kostioukovitch, è che Gorbaciov «aveva una disposizione d’animo diretta verso il bene, cosa del tutto inedita tra i leader sovietici, che erano di solito cinici e opportunisti (prima e dopo di lui). Era un uomo a cui era stato consegnato il controllo sull’impero del male e lui in questo impero ha iniziato a piantare il bene».
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di Marta Perrini