L’esercizio del dubbio

La guerra in Ucraina ha aperto un dibattito tra i pacifisti e non solo. É giusto inviare armi a Kijv?, si chiedono in molti. E ancora, come contrastare l’invasore? Con la legittima difesa, con la protesta civile, con la resistenza non violenta? Non c’è una risposta univoca, ma solo quella dettata dalla coscienza di ciascuno.

Il secolo diciannovesimo celebrò la prima conferenza dell’Aia convocata dallo zar Nicola II di Russia. Era il 18 maggio del 1899. Obiettivo della riunione discutere i principi del diritto bellico, apportare delle modifiche alla convenzione di Ginevra del 1864, istituire una corte permanente, limitare l’uso di armamenti mediante appositi accordi internazionali. 
La convenzione aveva proclamato il diritto delle vittime di guerra e il diritto internazionale umanitario. C’era bisogno di riconoscere che chi prestava soccorso alle vittime militari e soprattutto civili durante un conflitto potesse operare in sicurezza. «Non si spara sulla Croce rossa» non è solo un modo di dire, ma una precisa regola sancita da intese che riconoscono il diritto di compiere in guerra azioni di umanità verso tutte le vittime.
Lo zar intuì che occorreva non solo ribadire questo, ma anche cominciare a discutere su come limitare e disciplinare l’impiego delle armi. La convenzione fu firmata da 26 Stati il 29 luglio del 1899 ed entrò in vigore il 4 settembre 1900.
Dopo la prima conferenza, se ne tenne una seconda nel 1907. Si parlava già allora di Conferenze internazionali di pace, cercando di incuneare quest’ultima nei processi di bilanciamento del diritto bellico e di quella che abbiamo imparato a chiamare «corsa agli armamenti».
Nel dibattito pacifista che ha segnato tutto il Novecento il tema del disarmo si è accompagnato all’idea che disarmare significasse non solo limitare, ma anche abolire l’uso delle armi. Una discussione che si è ampliata e si è affiancata alle lotte che nel mondo hanno cominciato ad affermare e riconoscere l’eguaglianza dei diritti delle minoranze. 
Mahatma Gandhi – riconosciuto a livello mondiale il padre della nonviolenza, al punto che la Giornata internazionale della nonviolenza coincide con la sua data di nascita, il 2 ottobre – affermava il diritto all’uguaglianza delle popolazioni indigene dell’India, rivendicandolo senza l’uso delle armi. La protesta civile, l’insurrezione civile praticata con altri mezzi. Lui per primo non imbracciò un’arma, ma lavò una latrina, azione ritenuta indegna per uno del suo rango.  
Martin Luter King predicò e praticò «l’ottimismo creativo dell’amore e della resistenza non violenta» come la più sicura alternativa sia alla rassegnazione passiva, sia alla reazione violenta  dei gruppi che proclamano e praticano la loro superiorità sulle minoranze. Una lotta civile in difesa delle persone di colore che negli anni della guerra nel Vietnam assunse un più chiaro e forte significato politico sul tema della violenza armata. 

Il seguito sulla rivista.

di Elvira Zaccagnino

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