Tutta colpa del patriarcato?

Nella Giornata internazionale delle donne, una riflessione sulla discriminazione e sulla violenza cui il mondo femminile è sottoposto in tutto il mondo, in tutte  le epoche, in tutte le religioni.

In Cina si fasciavano i piedi delle bambine perché solo se li avessero avuti sempre piccoli, da donne, avrebbero trovato marito. Dolori strazianti, ossa deformate e una pratica che, seppur vietata dai primi anni del Novecento, è proseguita ancora a lungo almeno nelle zone rurali. In tutto il mondo, ma soprattutto in alcuni Paesi dell’Africa, ci sono 200 milioni di donne che hanno subìto l’infibulazione o altre pratiche di mutilazioni genitali. In India, anche se dichiarata illegale nel 1829, sopravvive la tradizione del sati: le vedove che si fanno bruciare vive sulla pira funebre del marito appena morto, perché altrimenti sarebbero estromesse dalla società e considerate responsabili della morte del consorte. 
Nel giorno in cui si celebra la Giornata della donna chiediamoci in quante zone dell’Asia la nascita di una femmina viene considerata una disgrazia e le bambine vengono uccise appena venute alla luce. E che dire del «matrimonio del viandante» o «del piacere», praticato in Arabia Saudita, in Iran e in altri Paesi arabi, che consente ai musulmani sciiti di sposarsi solo per qualche ora – una sorta di prostituzione legalizzata – abbandonando poi le donne al disonore e al disprezzo, condizione che porta molte di loro al suicidio? 
Considerate spesso oggetti, proprietà del padre e poi del marito, i loro corpi piegati a canoni estetici decisi dai maschi, le donne, in tutte le epoche storiche, in tutte le latitudini, in tutte le religioni e in tutte le classi sociali, hanno faticato e faticano a trovare un loro spazio di autonomia e di eguaglianza. Persino nella cattolicissima Italia il delitto d’onore che consentiva all’uomo di uccidere la moglie fedifraga (ma non il contrario) è stato abrogato soltanto nel 1981, mentre lo stupro, fino al 1996, è stato considerato reato contro la morale e non contro la persona (donna) che lo aveva subìto. 
«Sul perché avvenga questo ci possono essere risposte solo parziali», spiega Augusto Cavadi, filosofo, cofondatore del movimento Maschile plurale e Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne. «Un punto importante, però, è che le donne sono una spia, per gli uomini, della loro incompletezza. Ci fanno rendere conto che il maschio non è autonomo, non è perfetto, ma ha bisogno della metà, direbbe Platone, che “è stata tagliata dagli dei all’origine della storia”. La verità è che il femminile costituisce per il maschio un oggetto di desiderio fortissimo, che scopre la nostra povertà, la nostra dipendenza e che può generare astio». Certo anche «la donna può desiderare il corpo dell’uomo. Ma, nel caso di impossibilità ad arrivarci, non c’è la stessa prepotenza del desiderio che si genera nel maschio».

Il seguito sulla rivista.

di Annachiara Valle

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