La voce del mistero

Raccontava di streghe, presagi, magia, affrontando i temi dell’angoscia, della morte, dell’attesa. Il ricordo, a cinquant’anni dalla scomparsa, di Dino Buzzati, grande scrittore, oltre che giornalista, pittore, poeta.

«Con Buzzati se ne va la voce del silenzio, se ne vanno le fate, le streghe, gli gnomi, i presagi, i fantasmi. Se ne va, dalla vita, il mistero. E che ci resta?» si domandava Indro Montanelli il giorno dopo la morte del grande scrittore, avvenuta il 28 gennaio di cinquant’anni fa. Forse proprio per il suo interesse verso questi mondi misteriosi Dino Buzzati è ancora oggi misconosciuto come classico, meno noto di Pavese e Sciascia, meno amato di Calvino, meno imprescindibile di Levi o Moravia. 
Eppure il suo capolavoro Il deserto dei Tartari continua a essere letto, forse addirittura più letto delle opere di altri autori, ed è noto alla gran parte degli studenti delle scuole italiane. In un circolo chiuso come quello della cultura letteraria italiana Buzzati ha faticato a inserirsi anche a causa delle sue molteplici attività. Redattore al Corriere della sera, poi reporter di guerra, alpinista di buon livello, drammaturgo, scenografo e costumista, poeta, pittore di discreto valore. Sosteneva che per lui dipingere e scrivere fossero la stessa cosa («Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie») e che fosse rimasto «vittima di un crudele equivoco: sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pitture quindi non le “può” prendere sul serio». 

Il seguito sulla rivista

di Marta Perrini

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