L’immortalità della lettura

Umberto Eco, che questo mese avrebbe compiuto novant’anni, è stato intellettuale, scrittore, divulgatore, appassionato di comunicazione. Il suo motto, al quale è stato fedele tutta la vita, era «non fermarsi mai».

«Chi non legge a settant’anni avrà vissuto una sola vita, chi legge avrà vissuto cinquemila anni. La lettura è un’immortalità all’indietro », recita una celebre frase di Umberto Eco. Considerando i 44 mila volumi della sua biblioteca donati all’Università di Bologna e la cultura enciclopedica che gli era propria, si può dire che Eco, che il 5 gennaio avrebbe compiuto novant’anni, ne abbia vissuti milioni. 
Piemontese classe 1932, figlio di un impiegato e nipote di un tipografo, si laurea con una tesi su Tommaso d’Aquino, studiando il quale – ricordava non senza ironia – aveva perso la fede. A soli 22 anni viene assunto dalla Rai insieme ad altri brillanti giovani. Sono chiamati il «gruppo dei corsari», capace di svecchiare e nobilitare il servizio pubblico. 
Grazie al lavoro in televisione tocca con mano la cultura di massa e la società dello spettacolo, cui dedica riflessioni memorabili in Diario minimo (Mondadori, 1963) e Apocalittici e integrati (Bompiani, 1964). Non smette di studiare, si occupa prevalentemente di semiotica e linguistica e presto arrivano i riconoscimenti: nel 1959 diventa direttore della casa editrice Bompiani e due anni più tardi inizia a insegnare all’università a Torino. È il periodo dell’impegno e delle avanguardie artistiche e Eco aderisce a Gruppo 63, il movimento letterario di rottura nei confronti di opere tradizionali, desideroso di provare nuove forme di espressione perseguendo una ricerca sperimentale di stile e contenuti fin troppo cerebrale. 
Da queste esperienze prende via via forma l’idea di un sapere interdisciplinare con al centro le scienze umane e la comunicazione, come è ben espresso in Opera aperta, il libro del 1962 considerato un capolavoro della semiologia.

Il seguito sulla rivista. 

di Marta Perrini

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