«Il cinema è arte»
Lo dice il regista Wim Wenders nelle sale con Perfect days, pellicola che racconta la storia di un uomo abitudinario, interpretato dall’attore Koji Yakusho. Film poetico sulla bellezza delle piccole cose.
Ci sono film che non vanno raccontati, ma soltanto visti. In cui immagini, suoni, musica esprimono già tutto senza bisogno di parole. Una magica alchimia chiamata arte. È il caso di Perfect days di Wim Wenders, in gara al Festival di Cannes, dove ha vinto la Palma per il migliore attore (lo straordinario Koji Yakusho), conquistando l’ovazione degli spettatori. Avrebbe meritato perfino la Palma d’oro, data, invece, al convenzionale Anatomia di una caduta della francese Justine Triet. Ma Wenders ha comunque vinto la nostra Palma del cuore tanta è stata l’emozione provata davanti alle immagini, tale il piacere di ritrovare la genialità di un regista così amato (per Lo stato delle cose Leone d’oro a Venezia, Paris Texas Palma d’oro a Cannes, Il cielo sopra Berlino che ha lanciato l’impareggiabile Bruno Ganz, il visionario Lisbon Story, The Million Dollar Hotel con le musiche degli U2). E parlare del suo film è necessario. Diciamo di aver ritrovato Wenders perché, da vent’anni a questa parte, pareva essersi allontanato dal lungometraggio per dedicarsi a tempo pieno alla fotografia e all’arte del documentario, da molti a torto considerata minore. Non certo da lui che ha filmato titoli poetici e bellissimi come Buena Vista Social Club (sul sodalizio di Ry Cooder con vecchi musicisti cubani), Pina (sulla coreografa tedesca Pina Bausch), Il sale della terra (sul fotografo brasiliano Sebastiao Salgado), Papa Francesco: un uomo di parola (la più intensa e coinvolgente intervista mai fatta all’attuale Pontefice).
Quest’anno ne era stata anticipata la presenza a Cannes proprio per accompagnare Anselm, documentario dedicato al pittore Anselm Kiefer. Poi, a sorpresa, il direttore generale Thierry Frémaux ha annunciato che ci sarebbe stato in concorso pure un film di Wenders, di cui nessuno sapeva nulla. «Sono stato felicissimo di tornare a Cannes, quarant’anni dopo la Palma d’oro, con due lavori realizzati all’insaputa di tutti», sorride il regista, 78 anni, tornato in piena forma e con voglia di fare. «Credo che sia la prima volta che mi succede nella mia carriera. Visitavo il Giappone e a Tokyo mi sono ritrovato a girare il film. Un lavoro spontaneo, fatto in pochi mesi, grazie alla complicità di un attore straordinario. L’idea è nata nella capitale giapponese e non avrei potuto realizzarla altrove: mi piace quando storia e ambiente vanno insieme per necessità. Ho girato sessant’anni dopo che in quei luoghi Yasujiro Ozu, tra i miei registi preferiti, aveva realizzato il suo ultimo film, Il gusto del sakè. Non a caso, il mio protagonista si chiama ancora Hirayama… Mi sono sentito ispirato da lui, dai luoghi, dalla storia di questo enigmatico cinquantenne che pulisce le toilette pubbliche della città. Il film, però, non sarebbe esistito senza quello straordinario attore che è Koji Yakusho e senza il mio direttore della fotografia, Franz Lustig. Sul set comunicavamo solo con gli occhi e piccoli gesti, abbiamo trovato un nostro silenzioso linguaggio del corpo. Un sogno. La Palma di miglior attore a Koji è strameritata».
Il seguito sulla rivista.
di Maurizio Turrioni