Quando l’amore è più forte dell’odio

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In questo inizio d’anno dovremmo far nostre le parole che Gino Cecchettin ha pronunciato ai funerali della figlia Giulia, uccisa,  come si sa, dall’ex fidanzato. «In questo momento di dolore dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, della mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte può, anzi deve, essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne», ha detto dall’altare nel terribile momento dell’ultimo saluto a sua figlia. E ancora, ha concluso: «Io non so pregare, ma so sperare. Voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite […] e voglio sperare che un giorno possa germogliare e voglio sperare che produca il suo frutto di amore, di perdono e di pace». La morte di Giulia sta diventando, grazie anche alle parole pacate di suo padre, uno specchio in cui guardare dove si annida la radice della violenza. In cui specchiarsi senza mentire a sé stessi, con il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, anche con quella parola, «patriarcato», indigesta per qualcuno. Per tornare a educarsi e a educare. In famiglia innanzitutto. 

Il seguito sulla rivista.

di Annachiara Valle

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