Il bar solidale di “mamma Africa”
A Ventimiglia il locale di Delia Bonuomo ha rappresentato per anni un rifugio sicuro per i migranti in viaggio verso la Francia. Nel 2021 ha purtroppo chiuso i battenti, ma lei non si è arresa.
Capita, mentre si percorre la Genova-Ventimiglia, di notare, dall’auto, persone che camminano in fila lungo i bordi dell’autostrada, con scarpe semidistrutte, piccoli zaini al cui interno si immagina un’intera vita, lo sguardo in bilico tra il circospetto e lo stremato. Perlopiù si tratta di persone in fuga dall’Africa e in cerca di salvezza in Europa. Fino a dicembre 2021 trovavano sul loro cammino un rifugio a Ventimiglia. Era un bar vicino alla stazione, piccolo come il personaggio di fantasia da cui prendeva il nome, Hobbit, ma con un cuore grande e aperto: pronto a dare da mangiare a chi aveva fame, da bere a chi aveva sete e ad accogliere chi era straniero.
Chi arrivava in questo locale sapeva che avrebbe trovato non solo un pasto, un bagno e una presa elettrica dove ricaricare il telefono – unico mezzo di connessione con il passato lasciato e il futuro agognato – ma anche una parola di conforto, una stretta di mano, un po’ di quiete momentanea.
A gestire questo angolo di pace per rifugiati era Delia Bonuomo, che nella vita è stata un’emigrante anche lei: in Australia, dove si era trasferita da bambina con la famiglia. È un dolore che conosce bene quello di chi lascia la propria terra per cambiare un destino che non promette granché di buono. E quando nel 2015 la Francia, ferita da una serie di attentati terroristici, decide di sospendere il Trattato di Schengen e di disporre controlli alle frontiere, il ricordo di quei giorni da piccola straniera la assale. Soprattutto quando, una mattina, trova accampati sul marciapiede davanti al suo bar un gruppo di mamme e i loro figli. Avevano passato la notte all’addiaccio. Di passaggio a Ventimiglia in direzione Francia, erano stati respinti al confine ed erano tornati indietro. Ma senza allontanarsi troppo: un po’ per stanchezza, un po’ per riprovarci l’indomani.
Il seguito sulla rivista.
di Annalisa Misceo