Don Peppe Diana eroe con la tonaca

Trent’anni fa la camorra ha assassinato il prete che aveva cercato di opporsi a violenza, estorsioni, traffici illeciti. Ma dal sangue versato è nato un movimento di resistenza civile. Ecco perché questo coraggioso sacerdote vive, ora e per sempre.

Ucciso proprio il giorno del suo onomastico. Ha solamente 35 anni don Giuseppe Diana, per tutti don Peppe, quando il 19 marzo 1994, di mattina presto, un killer del clan dei Casalesi entra nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, vicino ad Aversa, nel Casertano, e gli esplode in faccia quattro colpi di pistola lasciandolo esanime per terra. Stava indossando i paramenti sacri per celebrare la Messa. Una vera e propria esecuzione in stile camorrista, che avrebbe dovuto fungere da monito per chiunque avesse pensato di alzare la testa contro i “padroni” incontrastati di quel territorio.
Solo cinque anni prima don Diana era stato nominato parroco di quella comunità. Nel 1968 era entrato in seminario, poi si era laureato in filosofia ed era diventato capo scout. Nel 1982 era stato ordinato sacerdote. Per un periodo aveva anche studiato a Roma, lontano dalla sua terra, prima di tornarvi, deciso a svolgere il ministero là dove era nato. E ha pagato con la vita la sua lotta coraggiosa contro la camorra.
Sono gli anni in cui in Campania imperversano i Casalesi, legati al boss Francesco Schiavone. Le infiltrazioni negli enti locali e nel mondo imprenditoriale sono molte, gli scontri tra i clan sempre più sanguinosi. Per contrastare la malavita don Diana fa costruire un centro di accoglienza per i primi immigrati africani, in modo da sottrarli all’arruolamento nella criminalità organizzata. Ai funerali dei «morti ammazzati» non perde occasione per denunciare le violenze omicide della camorra. Finisce per togliere i sacramenti ai mafiosi. Tutte azioni intollerabili agli occhi dei boss che decidono di eliminarlo.
Quel sangue versato avrebbe portato alla nascita di una stagione di resistenza civile. Da quel giorno si sarebbe iniziato a chiamare la camorra col suo nome e a denunciarne i tanti misfatti. Ma non fu una rivoluzione facile: la paura tenne le bocche cucite ancora per un po’, sebbene tutti sapessero il perché di quell’efferato omicidio. I primi a parlare furono i giovani che don Peppe accoglieva in parrocchia. Il giorno del funerale ventimila persone scesero in piazza assieme agli scout. I balconi della città erano imbiancati dalle lenzuola stese in segno di protesta e di lutto. La morte di don Diana non è stata vana: da essa è nato un movimento plurale, fatto di associazioni, volontari, gruppi scout, insegnanti, studenti, giornalisti, sacerdoti, un comitato che porta il suo nome, cooperative sociali, amministratori pubblici e tanti semplici cittadini.

Il seguito sulla rivista.

di Alberto Laggia

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