Per non dimenticare

Ricordare la Shoà è necessario soprattutto oggi, dato che l’antisemitismo sembra riaffiorare. In occasione della Giornata della memoria, il 27 gennaio, vi proponiamo la storia della famiglia Ulma sterminata dai nazisti e proclamata beata.

Non si può dimenticare l’orrore dei campi di concentramento nazisti. Ricordare il genocidio contro il popolo ebraico è un dovere soprattutto nei tempi odierni, in cui sembra riaffiorare un vergognoso sentimento antisemita che va immediatamente contrastato con fermezza. Anche per questo l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) ha voluto che il 27 gennaio di ogni anno si celebri il Giorno della memoria. Proprio in questa data, infatti, nel 1945 le truppe dell’Armata rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Il 10 settembre 2023 a Markowa, in Polonia, sono stati beatificati i martiri Józef e Wiktoria Ulma con i loro sette bambini: un’intera famiglia sterminata dai nazisti, il 24 marzo 1944, per aver dato rifugio nella loro casa a otto ebrei perseguitati. Nove persone, tra cui un piccolo ancora nel grembo della mamma, uccise insieme a coloro che avevano accolto e protetto a rischio della vita. «All’odio e alla violenza, che caratterizzarono quel tempo, essi opposero l’amore evangelico», ha sottolineato papa Francesco. «Questa famiglia polacca, che rappresentò un raggio di luce nell’oscurità della Seconda guerra mondiale, sia per tutti noi un modello da imitare nello slancio per il bene e nel servizio a chi è nel bisogno».
Giusti tra le nazioni, che è l’onore più grande che Israele concede ai non ebrei, e beati per la Chiesa cattolica.
La storia della famiglia Ulma viene raccontata nel libro Uccisero anche i bambini (Ares) di Paweł Rytel-Andrianik, responsabile della sezione polacca di Radio Vaticana-Vatican News, e Manuela Tulli, vaticanista dell’Ansa. Il volume è impreziosito in apertura dall’intervista al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi. Quello della famiglia Ulma, per il porporato, «è un vero esempio di compassione […] Non si tratta solo di aiutare, ma è la compassione che ci mette nella condizione di soffrire con l’altro per aiutarlo. Il coinvolgimento emotivo è facile, ma la compassione è un’altra cosa».
Il cardinale rileva anche l’assoluta novità nella recente storia della Chiesa di una famiglia i cui membri vengono beatificati insieme. In precedenza, infatti, «le famiglie sono state dichiarate sante, ma con singole canonizzazioni», spiega Semeraro. «Nel caso degli Ulma parliamo di martiri. Nell’antichità, invece, casi come questo, o situazioni simili, ce ne sono stati; il Martirologio ne parla. Ma per l’epoca recente questo è un fatto del tutto nuovo, anche per la procedura che è stata condotta insieme per l’intera famiglia. E questo è stato talmente rilevante per noi del Dicastero che ci ha incoraggiato a promuovere un convegno di riflessione sulla dimensione comunitaria della santità. Partendo proprio dal caso della famiglia Ulma».

Il seguito sulla rivista.

di Francesco Antonio Grana

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