Spezzare la catena del male

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A differenza di quanto credevano i latini, se si vuole la pace bisogna preparare la pace. E stupisce che i Paesi che si armano nell’attesa di guerre siano quelli che rivendicano radici cristiane.

I latini avevano un motto: «Si vis pacem para bellum». Per loro era chiaro: il periodo successivo alla firma della pace era quello adatto a preparare una nuova guerra. L’intermezzo in cui lucidavano le spade, educavano nuovi guerrieri a combattere, mettevano al mondo futuri orfani. I conflitti come regolatori di alleanze e conquiste di ogni tipo: tesori, schiavi, donne, luoghi, ricchezze altrui per farle proprie. I re e gli imperatori erano condottieri conquistatori.
Rispetto agli antichi noi ci definiamo moderni. Anzi post-moderni. Però non abbiamo modificato quel «si vis pacem para bellum». Possiamo dirlo oggi che siamo immersi in conflitti che, una volta scoppiati, hanno liberato disponibilità di armi preparate negli anni e stipate in attesa che servissero a qualcuno. 
Dal Golfo all’Ucraina è stato così: un conflitto tra due Stati, con i Paesi alleati che vanno in soccorso mettendo a disposizioni armamenti in grado di fare durare le guerre per anni. Ciò significa che le fabbriche che producono armi non hanno mai smesso di investire e produrre, dando da vivere a migliaia di persone che sono padri e madri di famiglia, giovani uomini e giovani donne che vivono serenamente la loro vita, magari non consapevoli del fatto che il piccolo ingranaggio che loro progettano e producono farà parte di un’arma potentissima che ucciderà bambini. La catena del male è fatta di anelli che si tengono, non sapendo uno dell’altro. Funziona ancora, nonostante ci sia chiaro cosa sia la banalità del male.  

Il seguito sulla rivista.

di Elvira Zaccagnino

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