Pensare la pace
In occasione della Giornata mondiale, che si celebra il 1° gennaio unendo i pacifisti di tutto il globo, proponiamo una riflessione dalla quale possono scaturire azioni concrete per fermare le guerre. Si potrebbe, per esempio, cominciare promuovendo il dialogo e difendendo la dignità di tutti.
Che cosa ci è successo? Come è stato possibile che l’impegno per il mantenimento della pace che ha animato almeno tre decenni di vita della comunità internazionale, dei più diversi Paesi e di così tanti cittadini del pianeta, sia diventato fragile, ipotetico e secondario? Che cosa ci rende così tiepidi di fronte alle guerre degli altri e così poco spaventati di fronte alla possibilità – non tanto remota – che l’irresponsabilità o la voglia di annientamento di qualcuno possa trascinarci in un conflitto letale e definitivo? Domande che dobbiamo porci soprattutto il 1° gennaio, data in cui ricorre la Giornata mondiale della pace, istituita da papa Paolo VI nel 1967 e celebrata per la prima volta l’anno successivo.
Forse ha ragione la grande poetessa polacca Wisława Szymborska, quando nella sua poesia La fine e l’inizio scrive: «C’è chi con la scopa in mano / ricorda ancora com’era. / C’è chi ascolta / annuendo con la testa non mozzata. / Ma presto / gli gireranno intorno altri / che ne saranno annoiati. […] / Chi sapeva / di che si trattava / deve far posto a quelli / che ne sanno poco. / E meno di poco. / E infine assolutamente nulla». Quando si spegne la voce dei testimoni che raccontano, e quella di coloro che hanno ascoltato quella voce, si spegne forse anche il fatto che quegli orrori siano stati reali e che sono ripetibili? O è il cambiamento del modo di fare la guerra oggi (la «guerra mondiale a pezzi» di cui parla papa Francesco oppure quella «asimmetrica» o di «quarta generazione» di cui parlano gli esperti) che non ci fa ritornare vivi quei ricordi di cui pure c’è arrivata una eco? O è ancora forte quella sensazione di inespugnabilità dell’Occidente che abbiamo conosciuto così bene all’inizio del Covid («riguarda loro perché sono cinesi, a noi non arriverà mai») e che ci è costata tante preziose vite umane? Che siano queste o altre le ragioni, sta di fatto che garantire la pace non è più la priorità da anteporre a rivalità e interessi nazionali o economici. Costruire oggi un’organizzazione come fu la Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca), “antenata” dell’Unione europea che tanto ha contribuito a creare una pacifica convivenza tra nazioni belligeranti per secoli, sarebbe difficile.
Forse non abbiamo, qui in Occidente, la capacità di avere paura. Di sentire la possibile distruzione come un fatto che ci riguarda. E pensiamo, forse, di non poter far nulla per alleviare il dolore degli altri, che pure sentiamo nostro.
Il seguito sulla rivista.
di Agnese Moro