Donne, vita e libertà

È lo slogan urlato dai movimenti iraniani di protesta, che segnano lo spartiacque tra un mondo che sta morendo e una fase nuova, tutta da definire. L’antropologa Sara Hejazi ci aiuta a comprendere i cambiamenti in atto nel suo Paese.

È trascorso più di un anno da quel 16 settembre in cui Masha Amini, ventiduenne di origine curda, è stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo ed è poi morta in ospedale per le torture subite. Da allora, in Iran, quasi tutto è cambiato: proteste, manifestazioni, donne che bruciano gli jihab pubblicamente o che ballano a viso scoperto. Più di 500 i morti e circa 20 mila le persone arrestate, tra cui anche intellettuali, oppositori politici, giornalisti. A fine ottobre sono state condannate a oltre dieci anni di detenzione le due croniste che per prime avevano narrato e diffuso la vicenda di Amini. Un universo in ebollizione, un Paese “giovane” (il 70 per cento della popolazione ha meno di 35 anni) e complesso, in bilico tra secolarizzazione e tradizione, con oltre 80 milioni di abitanti e un mosaico di minoranze etniche e religiose. Bisogna partire da qui per comprendere quanto sta avvenendo, che non è, banalmente, la dicotomia tra medioevo e modernità, tra uomini barbuti e donne libere che vogliono togliersi il velo. 
«L’ondata di proteste rappresenta la continuazione del cosmopolitismo che era all’origine della rivoluzione del 1978-1979 e che oggi è più che mai determinato dalla potenza dell’iper-connessione, dello stare in rete, dell’avere sempre più modelli, stili di vita, aspirazioni comuni a livello globale», osserva Sara Hejazi, giornalista e antropologa. Nel breve saggio (160 pagine) Iran, donne e rivolte, appena uscito per Scholè, l’autrice spiega come il disvelamento in Iran sia un elemento di identità dello Stato: «Il velo venne considerato un’espressione di arretratezza dalla fine del diciannovesimo secolo, a partire dal confronto con l’Occidente. Tuttavia, il processo di secolarizzazione fu osteggiato dai conservatori e le due anime del Paese si sono intrecciate per decenni. Velarsi venne vietato durante gli anni Trenta da parte del regime “occidentalista” di Reza Pahlavi, ma già nel 1941 suo figlio ne abrogò il divieto. Il velo divenne così simbolo della lotta politica contro il regime, svuotando l’atto di coprirsi il capo del suo valore religioso». 

Il seguito sulla rivista.

di Marta Perrini

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