Sostenibilità, dalle parole ai fatti

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Considerata la gravità della crisi ambientale, è tempo di orientare la trasformazione verso uno sviluppo più equilibrato e umano. Superando la demagogia e producendo azioni concrete e risultati tangibili.

Non c’è occasione pubblica, spot commerciale, convegno, intervento solenne che non ricordino l’urgenza di focalizzare la nostra attenzione sui problemi del clima e dell’ambiente. Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai dirigenti pubblici e privati, si moltiplicano dichiarazioni, inviti, appelli a favore della sostenibilità.
A chi dispone di lucidità e memoria, alcune di queste affermazioni, per quanto incoraggianti, appaiono un po’ sorprendenti, al punto da suscitare sospetti di cheap talk o, peggio, di greenwashing. Lo sviluppo sostenibile, nelle sue dimensioni integrate di protezione ambientale, crescita economica, inclusione sociale, appare da tempo la sfida fondamentale della nostra società. I disastri ecologici che si materializzano con crescente intensità e frequenza lo testimoniano quotidianamente. Tuttavia, come per altri temi cruciali, anche il riferimento alla sostenibilità rischia di diventare vacuo, perfino pericoloso. La differenza tra un mantra ipocrita e un sincero, fattivo proposito di cambiamento sta semplicemente nella misurazione concreta di ciò che occorre fare e nel farlo davvero.
Un recente studio pubblicato su Science e svolto da un autorevolissimo gruppo di scienziati ha confermato che il nostro pianeta ha ormai oltrepassato ben sei dei nove limiti cruciali per la sostenibilità. Dall’integrità della biosfera all’equilibrio dei flussi bio e geochimici, fino ai fattori che accelerano il cambiamento climatico, la Terra ora si trova «ben al di là dello spazio di funzionamento di sicurezza per l’umanità». Ciò dimostra, tra l’altro, come la questione climatica ed ecologica sia diventata dominante rispetto ai livelli economico e sociale nelle sfide per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Senza un’inversione drastica delle attuali traiettorie, il progresso nella salute e nella lotta a povertà, diseguaglianze, guerre sarà impossibile.
Semplificando, le emissioni globali annue di anidride carbonica di origine fossile, frutto cioè di combustione di carbone, petrolio, gas naturale, sono aumentate a quasi 40 miliardi di tonnellate. A questa cifra mai così elevata vanno poi aggiunte altre emissioni, derivanti dai cambiamenti della destinazione d’uso dei suoli. Se si vuole evitare che il surriscaldamento globale superi di due gradi quello dell’era pre-industriale – soglia oltre la quale la scienza prevede un’intensificazione fatale di molti impatti e numerosi rischi per l’ecosistema e la società – il mondo deve ridurre le emissioni totali di quasi l’8 per cento all’anno per i prossimi decenni, portandole a circa 18 giga tonnellate annue entro il 2030 e a zero in senso netto entro il 2050. Per essere ancora più concreti, secondo le valutazioni più ottimistiche, ogni abitante del pianeta potrebbe emettere solo 2-2,5 tonnellate di anidride carbonica all’anno.
Nonostante si stia registrando qualche progresso, siamo ancora molto lontani dai livelli ideali, soprattutto nei Paesi avanzati. Stati Uniti, Canada, Australia registrano tra le 14 e le 16 tonnellate pro capite, mentre la virtuosissima Europa si colloca tra le 5 e le 7, cioè quasi il triplo di quanto potremmo. Cina e India mostrano, invece, emissioni pro-capite rispettivamente uguali e inferiori a quelle europee, ma in rapido incremento.
Per sostenere occupazione e riduzione delle diseguaglianze non possiamo fare a meno della crescita economica, per quanto occorra temperarne i riflessi iniqui. Le emissioni globali totali sono una funzione di due fattori: l’energia richiesta per produrre un’unità di prodotto e le emissioni di gas serra (principalmente anidride carbonica) conseguenti alla produzione e al consumo di un’unità di energia. Per diminuire le emissioni occorre, quindi, migliorare l’efficienza energetica (primo fattore) e riallocare il mix energetico dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili (secondo fattore). Entrambi i processi sono già in corso, ma stanno avvenendo troppo lentamente per poter limitare il surriscaldamento globale.

Il seguito sulla rivista.

di Carmine Trecroci

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