La tragedia sessant’anni dopo

L’attore Marco Paolini ha realizzato uno spettacolo che parla di oggi e di noi. Un antidoto alla sottovalutazione del rischio, un’occasione di prevenzione civile.

«Un Vajont con la S plurale». Il monologo che Marco Paolini fece trent’anni fa sulla diga del disastro, che fu visto in tv da tutti gli italiani, fu un atto di memoria e di denuncia per restituire giustizia a chi non l’aveva ancora ricevuta. L’attore tenne il Paese impietrito davanti allo schermo, spiegando come e perché Longarone quel 9 ottobre 1963 venne cancellato dalla carta geografica. Ricordò che il Vajont non fu una calamità naturale, ma il frutto di una scellerata decisione.
Oggi quella voce solista è diventata «un coro» o, meglio, «un’azione corale di teatro civile», forse la più grande mai realizzata. Il 9 ottobre del 2023, infatti, in 180 teatri sparsi in tutta Italia, dalle istituzioni storiche, come il Piccolo Teatro di Milano, ai teatri nazionali, fino a quelli amatoriali, è stato messo in scena VajontS 23, che di quel monologo è il canovaccio semplificato, offerto a tutti, per poterlo presentare attualizzandolo. Le adesioni spontanee sono via via cresciute fino ad arrivare a 1.200 luoghi informali, tra scuole, biblioteche, quartieri, parrocchie. In tutto oltre quattromila narratori con un pubblico di trentamila spettatori. Tra i tanti a rappresentare l’opera anche gli studenti detenuti della sede carceraria di Turi (Bari), lettrici di condominio, amici in birreria, amiche del burraco, studi legali, squadre di basket, circoli fotografici.
Momento simbolico di forte impatto è stato lo stop contemporaneo di tutte le rappresentazioni alle ore 22 e 39 minuti, orario del disastro, per ascoltare, in silenzio, i rintocchi della vecchia campana del campanile di Longarone, che fu subito recuperata dalle macerie e che ogni anno ricorda l’evento.
«Lo scopo non era più riproporre una storia conosciuta e ormai salvata dall’oblio, né denunciare quanto avvenuto, che fu il mio intento di allora», dice Paolini. «L’obiettivo stavolta era rivolto al futuro: contribuire, con il teatro, ad affrontare nel modo giusto la sfida della crisi climatica». Cioè evitare di parlarne solo perché costretti dall’ennesima emergenza, da morti appena pianti, da luoghi appena devastati.

Il seguito sulla rivista.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *