L’accoglienza? Virtù italiana

Pierfrancesco Favino impersona, nel film Comandante, il capitano che, durante la seconda guerra mondiale, nell’Atlantico, salvò dei naufraghi nemici. Perché, allora come ora, salvare vite in mare è un dovere.

Oggi, in Italia, è l’attore numero uno. Non solo per fascino, fama anche internazionale e premi vinti (su tutti la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia di tre anni fa). Ciò che colpisce di Pierfrancesco Favino è la versatilità, il suo sapersi calare nei panni di personaggi assai differenti per epoca, estrazione sociale, carica emozionale. Il suo muoversi con naturalezza dentro l’avventura così come nel dramma, nel poliziesco e nella commedia sentimentale, in vicende realmente accadute, ma anche nei più sfrenati territori della fantasia. Deve la popolarità televisiva al fatto di aver impersonato Gino Bartali nella serie L’intramontabile di Alberto Negrin e la stima della critica cinematografica allo spessore umano con cui ha interpretato il mafioso Tommaso Buscetta in Il traditore di Marco Bellocchio. Ma a regalargli il favore del grande pubblico sono stati titoli girati con registi come Gabriele Muccino (L’ultimo bacio, Baciami ancora, A casa tutti bene, Gli anni più belli), Michele Placido (Romanzo criminale), Giuseppe Tornatore (La sconosciuta), Stefano Sollima (Acab, Suburra, Adagio), Mario Martone (Nostalgia), nonché successi internazionali del calibro di Angeli e demoni di Ron Howard o Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. Impossibile ingabbiarlo in un genere, etichettarlo per lo stile. Eppure, la sfida offertagli da Edoardo De Angelis con Comandante è stata ardua. Difficile non solo calarsi nella divisa del capitano Salvatore Todaro (autore di un gesto di estrema solidarietà nell’Atlantico in guerra) scansando sia gli stereotipi dell’eroe sia quelli del fanatico fascista, ma soprattutto girare una storia di vera umanità nei ristretti spazi del sommergibile Cappellini, replicato, con settantatré tonnellate d’acciaio e oltre cento fra ingegneri e operai, dallo scenografo Carmine Guarino nell’Arsenale della Marina a Taranto e (per gli interni) nei teatri di Cinecittà. Sfida vinta, a dar retta agli applausi riscossi dal film in apertura della Mostra del cinema e al fermento di pubblico per l’uscita, adesso, nelle sale.
«A Venezia c’è stato chi era in ansia per la possibile reazione del ministro Salvini, presente alla proiezione», ricorda Favino, 54 anni (appena visto anche nella serie di Sky Call my agent, versione italica della popolare serie francese Dix pour cent). «Non io. Il mio mestiere non è cambiare la testa delle persone, ma dare la possibilità di pensare ciò che si vuole. Non mandiamo certo via la gente dalle sale. Per me, Comandante è una storia che spiega cosa vuol dire essere italiani, anche se non c’è un solo modo di esserlo. Vengo da una famiglia del Sud: dovevo cedere la mia camera se i miei invitavano a casa qualcuno e se si mangiava in sei si poteva farlo anche in otto. La mia porta è sempre aperta. Ripeto, sono orgoglioso di essere italiano: mettiamoci d’accordo su cosa significhi. Per me, accoglienza è essere italiano».

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

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