Lo scetticismo dei giovani sul futuro
La guerra in Ucraina, le possibilità di ricostruzione di due Stati e due popoli, le strategie, i soggetti in campo, la credibilità dei leader, i passi compiuti e i tentativi andati a vuoto. Di tutto questo ho appassionatamente discusso con mio figlio, attento alla politica internazionale, quando si stava mettendo in atto lo sforzo della Santa Sede di trovare una mediazione nel conflitto, grazie dell’intervento del cardinale Matteo Maria Zuppi.
Abbiamo affrontato vari temi ed è emerso un pensiero che mi ha lasciato sorpreso. Perché, in sostanza, il giovane, pur interessato e sensibile, mi ha detto schiettamente: «Non ci credo, la mediazione non avrà successo, la guerra finirà solo quando saranno chiari i risultati determinati dagli eserciti». Insomma, un accento iper-realistico (se non proprio cinico) accompagnato da altre due riflessioni.
La prima: «Guarda che molti giovani che frequento la pensano così, perché regna una totale sfiducia nella politica, specie quando ci sono grandi interessi in gioco». E questo, forse, si poteva immaginare, con tutte le riflessioni che si fanno sui giovani di oggi.
Ma qui mi interessa comunicare, da padre, la seconda riflessione, introdotta da una veloce e per me apprezzabile osservazione: «Pa’, mi fa piacere che tu sia ancora ottimista e pensi che le soluzioni si trovino con la politica e il dialogo. Io ormai sono prevalentemente scettico. Penso che vinca la forza».
Il seguito sulla rivista.
di Vittorio Sammarco