«Il mio film storico»

AGF

L’attrice e regista Maïwenn ha realizzato La favorita del re, pellicola che racconta la storia della cortigiana madame du Barry, diventata la preferita di Luigi XV, interpretato da Johnny Depp.

Affascinante per i tratti irregolari: il collo affusolato, la grande bocca dai denti bianchissimi, gli occhi chiari, il lungo volto incorniciato dalla criniera di capelli castani. E la figura alta, snella, d’innata eleganza. Portamento perfetto, quello di Maïwenn, per vestire gli abiti settecenteschi del film Jeanne du Barry – La favorita del re, applaudito titolo di apertura del recente Festival di Cannes, adesso in uscita nelle sale italiane.
Non è, però, solo l’aspetto ad accomunarla alla protagonista: entrambe hanno dato prova di grande intelligenza. Madame du Barry, maestra di libertinaggio e di scaltrezza, fu protagonista di una straordinaria ascesa sociale: da umile popolana a cortigiana e amante del re fino a diventare la favorita di Luigi XV. Maïwenn, abituata al set fin da bambina, ha saputo crescere mettendo a frutto la relazione avuta da giovanissima col regista Luc Besson (dall’unione è nata la prima figlia, Shanna) e passando così dalla recitazione alla scrittura, fino alla macchina da presa.
E se Marie-Jeanne Bécu, prima di essere contessa du Barry, aveva conosciuto la strada e le umiliazioni di chi nasceva in condizioni miserevoli, Maïwenn non è da meno, avendo trovato la forza di reagire a una difficile infanzia. Il papà Patrick Le Besco, artista sinistroide d’origine bretone, la picchiava (ricordi drammatici che lei ha trasformato nel suo primo film autobiografico, Pardonnez-moi) e la madre Catherine, attrice franco-algerina poco protettiva, la spingeva sul set. Ed è proprio a causa dei traumi vissuti, del pessimo rapporto con i genitori, che ora lei al cinema si fa accreditare con il semplice nome, Maïwenn, lasciando il cognome alle mere questioni contrattuali.
Il parallelismo, insomma, è forte. Sul piano storico, una donna di strada che si eleva socialmente grazie al libertinaggio e alla cultura (appreso a leggere, divenne una divoratrice di libri). Nell’attualità, una ragazza che sfugge giovanissima ai brutali genitori, diventa amante e poi moglie del re del cinema Luc Besson, partorisce sedicenne la prima figlia, appena ventunenne viene mollata dal libertino consorte (che lavorando a Il quinto elemento s’invaghisce di Milla Jovovich) e poi lavora sui set senza riuscire a farsi accettare dal mondo del cinema, così simile alla corte di Versailles coi suoi circoli chiusi, i privilegi, il latente razzismo.
«Sono sincera: non ho cercato consciamente questo effetto specchio. È vero, però, che la vita di Jeanne du Barry è una specie di metafora della maniera in cui io ho attraversato il cinema», riflette Maïwenn, 47 anni, già premiata a Cannes nel 2011 per Polisse. «C’è una notevole somiglianza. Fare il film è stato come liberarmi da un’ossessione: ci ho pensato su per 17 anni, lavorandoci a tempo pieno negli ultimi tre. Di Jeanne mi hanno conquistato i paradossi: non è una santa, ma neppure un demonio, come le persone reali che non sono mai solo bianche o solo nere. Jeanne è onesta, una magnifica perdente. Come me».

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

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