L’ozio è il padre dei vizi

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Se pigrizia e accidia sono, in effetti, da condannare, altrettanto non si può dire del riposo e delle pause. Indispensabili
per rigenerare il corpo e la mente e per ripartire, con più slancio, verso nuove sfide e nuovi traguardi.

Un aneddoto racconta la storia dei salmoni nel Pacifico. Mentre saltano e fluttuano controcorrente per deporre le uova, i loro livelli di stress aumentano, per fornire l’energia necessaria a terminare il percorso. Ciò induce questi pesci anche a mangiare meno. Lentamente il loro tratto digestivo si atrofizza, il sistema immunitario si indebolisce. E alla fine, dopo aver portato a termine il loro compito, muoiono di stanchezza o di malattia, il loro corpo logorato dalla fatica del viaggio. I salmoni non possono fare a meno di essere sotto stress. Sono programmati per morire, obbedendo a un progetto riproduttivo ed evolutivo.
Per noi non si tratta ovviamente di contrastare la corrente, ma di fare fronte a scadenze assillanti e a enormi carichi di lavoro. Per non deludere le aspettative nostre e altrui, in contesti che richiedono un elevato livello di performance, spesso lavoriamo senza tregua, senza soluzione di continuità. In ufficio, in fabbrica, a casa. Il progetto da ultimare, la dichiarazione dei redditi da compilare, il giardino da zappare, la cucina da riassettare.


La “trappola” delle vacanze
Siamo talmente abituati a tenere il motore su di giri, che talvolta pure le tanto sospirate ferie rischiano di diventare dei veri tour de force. Un tempo che deve essere ultra-proficuo, pieno di attività da programmare e portare a termine: viaggi in Paesi esotici, visite a musei, sport estremi, corsi creativi.
«Spesso i luoghi di vacanza sono fatti a immagine e somiglianza di ciò da cui si fugge», riflette Maurizio Pallante, cofondatore del Movimento per la decrescita felice. «Ci si ritrova, dunque, in mezzo agli intasamenti del traffico, all’urbanizzazione, ai supermercati e ai ritmi frenetici».
Di parere analogo è Domenico De Masi, sociologo, che evidenzia come molti, che «corrono in maniera frenetica e spesso fine a sé stessa», finiscono con il vivere «la vacanza nello stesso modo in cui vivono il loro quotidiano», cercando «qualcosa che riproduca i loro ritmi, le loro regole» e facendo «la fortuna dei villaggi vacanze, dove ritmi e regole sono ferree». Chi concepisce il periodo estivo in questo modo, rischia di ritrovarsi a settembre più stanco di quando era partito.
In effetti, la vacanza dovrebbe essere tutt’altro. Lo suggerisce anche l’etimologia della parola, che deriva dal latino «vacare», cioè «essere senza occupazioni», «essere libero».

Un equilibrio di pieni e di vuoti
In realtà, ciò che probabilmente sfugge è che il “pieno” ha significato proprio perché, a fargli da contraltare, c’è il “vuoto”. Come avviene, per esempio, nel caso della scrittura, che trae significato dall’alternarsi, dal compenetrarsi di foglio bianco e inchiostro scuro. Una “tela” su cui i caratteri prendono vita, emergendo dal caos.
Lo stesso legame di interdipendenza esiste tra il negotium, il negozio, cioè il tempo lavorativo, e l’otium, l’ozio, ovvero il tempo libero da obblighi o impegni. Che non va confuso con il ciondolare, il bighellonare, il girare a vuoto. Con lo spasso fine a sé stesso e con il sollazzo.
Come chiarisce Milan Kundera, lo scrittore francese di origine cecoslovacca morto a metà luglio, l’ozio non coincide certo con l’inattività, «che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca». L’ozio, inteso come scelta volontaria mirata al riposo e a una rigenerazione, funzionale a darci la giusta carica fisica e mentale, non solo è benefico, ma è necessario. Il contrario vale per la pigrizia, una sorta di buco nero che tutto inghiotte, sottraendo energie e motivazione e lasciando dietro di sé un senso di desolante inadeguatezza.
È, quindi, il sapiente equilibrio degli opposti, dei pieni e dei vuoti, a determinare la scelta migliore e più efficace. Accade lo stesso con il respiro, in cui inspirazione ed espirazione si alternano, seguendo un ritmo e una successione definiti.
Nella nostra epoca iperattiva, segnata da un cronico affaccendarsi, fare niente sa di stallo, perdita di tempo, infrazione del comandamento di efficienza. Eppure, se vogliamo migliorare la qualità e la quantità dei risultati che otteniamo nel tempo “pieno”, non dobbiamo trascurare il tempo “vuoto”.

Il seguito sulla rivista.

di Paola Arosio

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