Il bello di una vita per nulla perfetta

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«Pa’, ti prego non mi stressare…! Non mettermi ansia!». Capita spesso di sentirselo dire dai figli, quando si prova ad alzare la soglia di attenzione, a suggerire un po’ di concentrazione, a invocare uno sforzo supplementare e un coinvolgimento più intenso. Anche solo a parole, i giovani che ho davanti temono che questo incitamento si traduca nell’effetto contrario, con risultati sgraditi.
Non sono i soli a temerlo. Il tema del rapporto tra giovani e ansia è sempre più attuale. Basta vedere quante volte viene cercato su Google: quasi sei milioni. Quanti genitori ed educatori a vario titolo sono preoccupati di non cogliere – o di farlo troppo tardi – i segnali del disagio che i propri ragazzi stanno vivendo e che non riescono a superare? Tantissimi, suppongo. Sulle cause non mi soffermo: lo sappiamo, sono tante, da quelle personali a quelle che riguardano il mondo intero.
Voglio, invece, suggerire non una soluzione, ma piuttosto l’adozione di un comportamento, di uno stile che possa funzionare come un paracadute, uno strumento in qualche modo utile per attenuare gli effetti negativi che l’ansia spesso produce.
In casa uso tre parole che provo a testimoniare con forza. Con i miei figli e con altri. In sintesi, quasi solo per titoli, affinché ognuno le coniughi nello specifico della propria vita quotidiana.
Prima: tenerezza, da apprezzare dolcemente. Perché in tempi di sbandierata ferocia, non sembri (tanto più per i maschi) un modo per sminuire la forza, ma anzi, per avere il coraggio di rendere palese l’intimo vissuto.

Il seguito sulla rivista.

di Vittorio Sammarco

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