La disobbedienza della Rosa Bianca
Quasi ottant’anni fa, cinque giovani seppero esprimere con coraggio il proprio dissenso al nazismo. Una storia ancora attuale, che parla a tutti di libertà. Sia di pensiero, sia di parola.
«Facci liberi e intensi», recita la Preghiera del ribelle di Teresio Olivelli. Parole toccanti che ben rendono la forza d’animo di chi, quasi ottanta anni fa, ha saputo dire di no. Di chi ha avuto il coraggio di opporsi per poter affermare nuovi valori, una diversa visione del mondo.
Tra questi, il caso emblematico della Rosa Bianca (die Weisse Rose), quattro ragazzi e una ragazza tra i 21 e i 25 anni che, insieme al loro professore universitario, hanno provato a mettersi contro Hitler armati di un foglio e una penna, poi diventati un ciclostile e dei francobolli: con la diffusione di parole, volantini che incitavano alla resistenza in nome della libertà, della giustizia e della pace in Europa. Arrestati il 18 febbraio del 1943, vengono ghigliottinati quattro giorni dopo.
La loro storia può essere oggi nota in Italia grazie al più completo libro al riguardo, La Rosa Bianca. La resistenza al nazismo in nome della libertà, che le edizioni San Paolo hanno appena rieditato. L’autore è Paolo Ghezzi, il maggiore esperto sul tema, già direttore di L’Adige e Il Mattino di Bolzano. Rispetto alla prima edizione, uscita nel 1994 e da anni andata esaurita, il volume presenta una parte inedita e nuove conclusioni rispetto a un episodio che resta più attuale di quanto si possa pensare.
«Il grande storico Marco Revelli ha definito il gesto dei ragazzi della Rosa Bianca “un episodio di resistenza allo stato puro”, nel senso che non ha sovrastrutture né retroterra», spiega Ghezzi. «In effetti, non si trattava di un gruppo organizzato, indirizzato da qualcuno. Erano semplicemente degli amici che si sono guardati in faccia e hanno sentito quella che potremmo definire, con termini un po’ vetusti, una voce interiore, che diceva loro di non accettare ciò che stava succedendo. Allora, pur avendo ben presente ciò che rischiavano, ma senza porsi troppo il problema delle conseguenze, hanno deciso che per la loro coscienza avrebbero parlato e preso posizione. Un gesto di disobbedienza e dissenso di esemplare semplicità. Questo meccanismo elementare di richiamo a un altro ordine di valori può contare per tutti i luoghi e in ogni tempo».
Il seguito sulla rivista.
di Marta Perrini