Giocare con i figli un piacere e non un dovere

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Di tanto in tanto riflettere sulla vita a partire da un tema considerato “leggero” non solo non fa male, ma può anche servire a ripristinare, dentro di sé, quel filo di speranza, di luce, di rigenerazione che questi tempi angosciosi ci richiedono con forza. Coltivo una riflessione che mi ha accompagnato per settimane. Tema: il gioco, semplice e gratuito, con i figli, non come eccezione, ma come costante. Quanto può essere utile per il rapporto genitori-figli? E perché?
In questo periodo, mi ha fatto visita (nella stanza della coscienza, affacciandosi dalle finestre di film, spot, messaggi web, cartelloni pubblicitari, canzoni e quant’altro collegato al gioco di adulti con bambini e bambine) un pensiero: trovare una ragione di tipo educativo che rafforzasse il nostro (di noi padri colti, informati, attrezzati a un modello formativo attuale) modo di gestire il rapporto con i figli e che smentisse il rapporto che noi abbiamo avuto con i nostri padri.
Che erano, per lo meno i più, anche se non tutti, poco propensi a considerare il gioco parte importante della relazione intergenerazionale. Qualcuno – ce lo raccontiamo adesso da genitori – segnato dalla nostalgia di quelle serate che avremmo voluto trascorrere con i nostri padri e che, invece, finivano in una malinconica solitudine.
E allora, per tentare di dare un sostegno solido a questo pensiero, mi dicevo (sperimentandolo in diretta con i figli) che nel gioco si può dare concretezza al valore del rispetto delle regole, all’onestà e alla trasparenza, alla possibilità di gestire le sconfitte senza ansia, all’occasione di generare ricordi e metafore, al parlarsi spiegando (in certi giochi da tavolo è fondamentale) e così via di questo passo, psicologico-motivazionale.

Il seguito sulla rivista.

di Vittorio Sammarco

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