Diritti umani negati in Russia

Nel Paese di Putin la dissidenza viene repressa, la stampa è messa a tacere, la tortura è una pratica comune. Anche Memorial, l’associazione vincitrice del Nobel per la pace nel 2022, è stata emarginata.

È già passato quasi un anno da quel 24 febbraio 2022, quando la Russia ha aggredito l’Ucraina. Nel corso di questi mesi i giornali e le tv hanno mostrato il volto dell’orrore, con i cadaveri ammassati nelle strade, le fosse comuni di Bucha, le persone riunite nelle stazioni delle metropolitane per sfuggire agli attacchi aerei, le devastazioni e le distruzioni, il freddo e le operazioni chirurgiche senza elettricità né riscaldamento. Sono tornati d’attualità i diritti umani, che da europei davamo per scontati dopo la fine della Guerra fredda. 
La Storia, però, insegna che nulla è acquisito per sempre e che, laddove l’attenzione si affievolisce un pochino, la situazione può precipitare. È il caso della Federazione russa, che per comodità chiamiamo Russia, ma che è appunto una Federazione formata da 22 Repubbliche, lo Stato più vasto del mondo, con un territorio di oltre 17 milioni di chilometri quadrati. 
«I diritti umani lì sono calpestati come in pochi altri Paesi, una situazione che è andata via via peggiorando», spiega Marcello Flores, storico, già professore di Storia comparata e Storia dei diritti umani all’Università di Siena. «Una delle prime azioni compiute da Vladimir Putin appena salito al potere è stata la limitazione della libertà di stampa, con l’assassinio di Anna Politkovskaja e di oltre venti giornalisti. Il numero di lavoratori della stampa morti, feriti e imprigionati dalla fine degli anni Novanta a oggi è secondo solo a quanto accaduto in Algeria nel periodo più buio dell’islamismo radicale. Poi il presidente ha limitato la libertà di assemblea e di movimento. Sappiamo, per esempio, di un giovane attivista arrestato solo perché passeggiava vicino a dove ci sarebbe stata una manifestazione. Si può dire che ogni forma di dissidenza politica è repressa, come dimostra il caso esemplare ma non unico di Aleksej Navalny, e che si tratta di una realtà in cui la tortura è una pratica comune in tutte le sedi di polizia e le prigioni». 
C’è poi la vicenda di Memorial, l’associazione fondata a Mosca per studiare le violazioni e i crimini commessi durante il regime di Stalin e per difendere i diritti oggi, Premio Nobel per la pace nel 2022. «Nel corso degli anni ci sono stati momenti in cui le istituzioni statali l’hanno aiutata a ricostruire la memoria delle vittime, ma si è presto verificata una progressiva emarginazione e Memorial è stata colpita con limitazioni sempre più forti, come multe e arresti», precisa Flores. «Nel 2012 viene inserita nell’elenco delle associazioni – soprattutto umanitarie o culturali – identificate come “agenti stranieri” per aver ricevuto anche solo una piccola donazione dall’estero. Da quel momento in poi ogni iniziativa ha dovuto presentare la stampigliatura “agente straniero”, chiaramente riconducibile all’idea di tradimento».

Il seguito sulla rivista.

di Marta Perrini

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