Un’impresa vestita di rosa
Femminile. Etica. Solidale. Sostenibile. Daphné, sartoria fondata da Dafne Carlo a Sanremo, ora è anche un museo. Poliedrica azienda che continua a vivere grazie alle figlie, passando il testimone di generazione in generazione.
Ha solo 14 anni Dafne quando, subito dopo la guerra, va a lavorare da Jeanne Marguerite, una delle due sartorie più importanti di Sanremo. Figlia di un operaio, non ha bisogno di guadagnare perché i soldi in casa non mancano, ma – racconta oggi – «io non ne volevo sapere di studiare, l’unica cosa che desideravo era poter cucire». Aveva iniziato a farlo per gioco, durante il conflitto, creando abitini per le bambole con i ritagli dei tendaggi del bombardato teatro Principe Amedeo, stoffe che sua madre aveva utilizzato per realizzare vestiti per la famiglia. Nessuno le aveva insegnato a cucire, aveva guardato lavorare la mamma e si era messa d’impegno per imitarla. Ma, giocando, aveva capito che quell’attività le piaceva e, benché fosse ancora molto piccola, aveva deciso di farne la sua professione. È la stessa Jeanne Marguerite ad andare di persona a casa Carlo a chiedere il permesso di prendere a bottega la piccola Dafne, che con entusiasmo comincia il suo cammino tra pizzi, sete e cartamodelli.
Un percorso che l’ha portata a creare prima un suo piccolo laboratorio, poi ad ampliarlo fino ad aprire una propria sartoria, con tanto di dipendenti, alla quale dà il nome di Daphné, in francese, «perché all’epoca una sartoria che non avesse un nome che richiamava la moda parigina non era considerata all’altezza», dice sua figlia, Barbara Borsotto, direttrice artistica, insieme alla sorella Monica, dell’azienda che oggi è un vanto del made in Italy.
La sartoria cresce, a Sanremo il nome di Daphné diventa sempre più importante e comincia a diffondersi anche tra le villeggianti nobili e straniere. La signora Carlo ricorda ancora le «duchesse, marchese, contesse» che frequentavano il suo atelier «e le amiche della regina Elisabetta, la sorella del principe Ranieri, Grace Kelly, Maria Callas». E poi c’è il festival e le regine della canzone italiana è a lei che si rivolgono per avere l’abito giusto per essere splendenti sul palco.
Insomma, mentre in tutta Italia comincia a diffondersi la confezione (che nella seconda metà del Novecento ha avuto sul mercato della moda lo stesso impatto che oggi ha la fast fashion), la maestria artigianale di Daphné non solo resiste, ma continua a crescere. «Il prodotto Daphné è sempre stato di nicchia, l’avere sede a Sanremo è stato determinante», spiega Barbara Borsotto. «La nostra clientela è sempre stata di alto livello e la vicinanza alla Francia e al principato di Monaco ha permesso di andare facilmente oltre i confini nazionali e di farci conoscere dai personaggi internazionali che venivano a svernare qui. In questo mia madre è stata anche fortunata».
Il seguito sulla rivista.
di Annalisa Misceo