Dove diventare madre è una battaglia tra la vita e la morte

In Afghanistan, nella Repubblica democratica del Congo e nello Yemen il parto è ancora una sfida. Medici senza frontiere è operativa per contrastare la mortalità dei neonati e delle loro mamme.

Diventare madri, in Afghanistan, è ancora oggi una sfida enorme. Questo Paese, dove sono tornati al potere i talebani, resta uno dei più pericolosi al mondo per partorire: ogni anno 4.300 donne muoiono a causa di una complicanza durante la gravidanza o il parto, per mancanza di accesso all’assistenza sanitaria. Dal 1980 la ong Medici senza frontiere (Msf) rappresenta una presenza umanitaria costante e, dopo il ritorno del regime, continua a essere un punto di riferimento per la popolazione locale con i suoi progetti a Herat, Kandahar, Khost, Kunduz e Lashkar Gah. Dal 2012 Msf gestisce a Khost un grande ospedale materno-infantile dove ogni mese nascono quasi duemila bambini, in media lo stesso numero di un ospedale italiano in un anno. Nei primi sei mesi del 2022 ci sono stati 10 mila parti assistiti.
A Herat la ong gestisce un importante centro per la malnutrizione. Un anno fa Gaia Giletta, 32 anni, infermiera pediatrica di Torino, ha operato qui per quattro mesi. «In Afghanistan ho notato una situazione diversa rispetto agli altri Paesi in fatto di malnutrizione infantile», racconta. «In genere i bambini malnutriti hanno un’età compresa tra i sei mesi e i 10 anni, perché nel primo periodo di vita vengono allattati dalle madri. A Herat, invece, arrivavano perlopiù bambini sotto i sei mesi perché le mamme stesse erano malnutrite e non producevano più latte». Giletta spiega che per le donne in gravidanza non c’è alcuna assistenza prima, durante e dopo il parto, per questo i tassi di mortalità materno-infantile sono altissimi. «Inoltre, non c’è alcuna attenzione per la pianificazione familiare. Le strutture sanitarie pubbliche in funzione sono poche e in quelle attive il materiale sanitario, come cerotti e garze, è a pagamento», prosegue. Motivo per il quale tantissime donne povere partoriscono in casa, in condizioni precarie, con tutti i rischi che ne conseguono.

Il seguito sulla rivista.

di Giulia Cerqueti

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