Presentato il XXI Rapporto Caritas sulla povertà

In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, Caritas italiana ha presentato a Roma il 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”. Nel 2021 i poveri nel nostro Paese sono stati 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini: i 2.800 Centri di ascolto Caritas hanno effettuato oltre 1,5 milioni di interventi, per circa 15 milioni di euro, con un aumento, rispetto al 2020, del 7,7 per cento delle persone che hanno chiesto aiuto. E, purtroppo, anche i dati raccolti nel corso di quest’anno confermano tale tendenza.

«Non si tratta sempre di nuovi poveri», spiega monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente Caritas italiana, «ma anche di persone che oscillano tra il dentro e fuori dallo stato di bisogno. Tra questi coloro che, pur lavorando, sono poveri oggi sono pari al 13 per cento degli occupati. Il 23,6 per cento di quanti si rivolgono ai centri di ascolto sono lavoratori poveri».

Ma qual è l’ “anello debole” di cui parla il titolo? Sono i giovani, colpiti dalla povertà ereditaria e da quella educativa. Quella ereditaria si trasmette “di padre in figlio”: «Nel nostro Paese», precisa monsignor Redaelli, «occorrono ben 5 generazioni perché una persona che nasce in una famiglia molto povera possa raggiungere un livello di reddito medio, mentre nel nord Europa ne bastano 2». Ma anche quella educativa è pesante, tanto che solo l’8 per cento dei giovani con genitori senza diploma superiore riesce a ottenere una laurea: 6 assistiti Caritas su 10 sono infatti poveri “intergenerazionali”, 1 ragazzo su 3 con genitori senza alcun titolo si è fermato alla sola licenza elementare. E in più c’è «un ultimo dato davvero preoccupante», continua il presidente, «in Italia ci sono oltre 3 milioni di Neet – che non studiano, né lavorano, né ricevono una formazione (nella fascia 15-34 anni) –, pari al 25,1 per cento del totale».

Per il presidente di Caritas bisogna partire dal restituire dignità al lavoro: «soltanto così sarà possibile far uscire tantissime famiglie e tantissimi giovani dalla zona d’ombra in cui purtroppo sono finiti in questi ultimi anni e spezzare anche quella povertà che per troppe persone e intere generazioni sembra destino inevitabile». Perché, come scrive papa Francesco nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro».

Al di là dei dati emerge la necessità di costruire insieme nuove opportunità: «la misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese, il Reddito di cittadinanza», si legge nel Rapporto, «è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44 per cento). Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale». Il Rapporto offre alcune proposte «di rafforzamento della capacità di presa in carico dei Comuni, anche attraverso il potenziamento delle risorse umane e finanziarie a disposizione e un miglior coordinamento delle azioni».

Monsignor Redaelli ha ricordato le parole di san Paolo VI nella Populorum Progressio: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e tutto l’uomo».  Allora, conclude il presidente, «prendere coscienza della portata della sfida che è davanti a ciascuno di noi e a “noi” come comunità – e comunità cristiana in modo specifico – è la condizione necessaria per non rimanere sopraffatti dalla logica della inevitabilità dei dati e delle tendenze, cioè della ineluttabilità dei fatti compiuti. Una logica molto lontana dalla speranza che caratterizza i cristiani. Una speranza fondata sul Vangelo e che proprio per questo diventa concreta carità».

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