Padri si diventa

Close up of young father holding his newborn baby son in his arms

La figura paterna sta vivendo una fase di trasformazione,  alla ricerca di un’autorevolezza non autoritaria. Ne parliamo  in occasione del 19 marzo, giorno in cui si celebra la festa del papà.

Per diventare madre ci vogliono nove mesi. Per diventare padre potrebbe volerci tutta la vita. Lo aveva detto anche papa Francesco nella lettera apostolica Patris Corde, in cui descriveva la paternità di san Giuseppe: «Padri non si nasce, si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui». 
Ci sono uomini che, pur essendo padri biologicamente, sono incapaci di diventarlo, altri che rifiutano anche l’aspetto biologico, altri ancora che addirittura “usano” i figli contro le loro donne (e la cronaca nera ne è piena, purtroppo). «Nella società del nostro tempo, troppo spesso i figli sembrano essere orfani di padre», scriveva circa un anno fa il Pontefice, «e il mondo ha bisogno di padri». 
Eppure, pur in una società sfacciatamente patriarcale, della figura del padre (o della sua assenza) si parla pochissimo. Mentre alle donne è culturalmente richiesto di essere mamme e sulla figura della madre c’è un dibattito pubblico che assegna loro un carico di responsabilità maggiore del dovuto (basti pensare alle campagne pubblicitarie contro la carenza di nascite che si rivolgono esclusivamente alle donne), di padri non si dibatte mai: è come se quella del padre fosse una figura assodata e indiscutibile. 
«È uno dei tanti paradossi della società in cui viviamo», commenta Luca Alici, professore associato di filosofia politica all’Università di Perugia e autore di Zero Tre, prefisso di paternità (Editrice Ave, € 12). «A un impianto patriarcale corrisponde una crisi dei padri, di cui effettivamente si parla poco. Ciò probabilmente avviene perché questa figura si trova a un passaggio complicato della sua storia, si sta verificando un processo di riscrittura del suo ruolo. Finora quella del padre è stata una figura paternalistica, che ha occupato spazi più che generare processi, oggi invece le viene richiesto di mettersi al servizio del resto della famiglia. È un esercizio di grande contrazione, cui questa figura non è abituata. C’è poi un altro elemento: si sta superando l’idea di perfezione, il che consente al padre di sbagliare – di concederselo e di ammetterlo – senza che questo demolisca il suo ruolo davanti agli altri e davanti a se stesso».  

Il seguito sulla rivista.

di Annalisa Misceo

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