Nella morte a occhi aperti

Lucetta Scaraffia, storica e membro del Comitato nazionale per la bioetica, affronta nel nuovo libro scritto con il medico Ferdinando Cancelli temi cruciali come eutanasia, suicidio assistito e accanimento terapeutico.

Viviamo in una società che rifiuta la sofferenza, che non sa darle valore. Ed è dal nostro rapporto con il dolore che si determina quello con la morte. Parte da qui, da questo snodo fondamentale, lo splendido libro Nella morte a occhi aperti. Cattolici, laici e conflitto dei valori, uscito qualche mese fa per Scholé, che tratta con equilibrio e delicatezza, senza ideologie, temi cruciali come eutanasia, suicidio assistito, accanimento terapeutico. Gli autori, Lucetta Scaraffia e Ferdinando Cancelli – storica, membro del Comitato nazionale per la bioetica la prima, medico esperto in cure palliative il secondo – dialogano facendo della loro differente formazione una ricchezza per vedere la realtà da un’altra angolazione.
L’incredibile avanzamento della ricerca in campo medico ha fatto sì che esseri umani che fino a qualche tempo fa non avrebbero avuto speranze di vita oggi riescano a sopravvivere, seppure nella maggior parte dei casi in condizioni terribili, sospesi tra la vita e la morte. «Prova ne è che l’espressione stato vegetativo negli anni Sessanta non esisteva», nota Scaraffia.
Diventa, dunque, scottante il problema dell’accanimento terapeutico, condannato a parole, ma praticato negli ospedali dai medici come autodifesa da possibili denunce. «Questi ultimi hanno cominciato a intervenire spegnendo le macchine, quasi sempre per pietà davanti all’inutilità delle cure, ma ci hanno lentamente abituato all’idea della morte a comando, della possibile fuga dal dolore affrettando la fine», aggiunge.

Il seguito sulla rivista

di Marta Perrini

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