Il prestigiatore del grande schermo

A tre anni dalla consacrazione con l’Oscar e il Leone d’oro, il regista Guillermo del Toro torna a stupirci con La fiera delle illusioni, adattamento del romanzo di William Lindsay Gresham.

«Basta qualche buon trucco e lo spettatore è pronto a credere a qualsiasi cosa. Il mio, in fondo, è un mestiere da prestigiatore». E di trucchi sullo schermo Guillermo del Toro se ne intende come pochi. Sullo stupore, prima di tutto visuale ma anche narrativo, ha infatti costruito un’intera carriera e la sua fama di regista. In trent’anni ha firmato soltanto undici lungometraggi (dedicandosi nel frattempo, però, anche alla sceneggiatura e alla produzione di film altrui), ogni volta lasciando il segno con storie al limite del surreale e la creazione di personaggi fantastici che lo hanno portato prima a sfiorare l’Oscar (nomination nel 2007 per la sceneggiatura di Il labirinto del fauno) e poi a conquistare due statuette nel 2018 per La forma dell’acqua (miglior film e regia, oltre ai premi per la scenografia e la colonna sonora, dopo aver vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia).
A tre anni dalla consacrazione, esce in questi giorni nei nostri cinema La fiera delle illusioni (Nightmare Alley), suo visionario adattamento dell’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham sul lato oscuro dello spettacolo, trasposto sullo schermo già nel 1947 da Edmund Goulding. Non si tratta, però, di un remake, piuttosto di una nuova lettura.
«Abbiamo deciso di non pensare più a quel film, pur sapendo che quella versione conteneva cose davvero meravigliose», spiega del Toro, 57 anni, messicano di Guadalajara ma statunitense d’adozione, proprio come Alfonso Cuaròn e Alejandro Gonzales Inarritu (i tre amigos dominatori della nuova Hollywood). «Senza girarci attorno con le parole, quello che io volevo fare era più vicino a un incubo. Nel romanzo veniamo catapultati nel mondo dello spettacolo americano degli anni Quaranta: un posto rutilante di luci, musiche, onori, ma sotto sotto squallido, popolato da un’orda di truffatori, ciarlatani e di donne maliarde».

Il seguito sulla rivista.

di Maurizio Turrioni

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