La sconfitta dell’Occidente

Il ritiro delle forze della Nato dall’Afghanistan è stato affrettato e non ponderato. Un’operazione che ha rivelato uno sguardo miope dal punto di vista politico e umano. Perché la sofferenza e l’agonia di un popolo non possono mai lasciarci indifferenti.

Forse è un addio. Forse è un arrivederci. Le forze della Nato hanno lasciato l’Afghanistan dopo vent’anni di presenza militare. Lo hanno deciso gli Stati Uniti praticamente in solitaria. Essendo parte preponderante della missione (circa il 90 per cento), hanno di fatto scelto anche per gli altri Paesi membri. L’allora presidente americano Donald Trump aveva firmato il 29 febbraio 2020 un accordo di pace con la fazione afgana dei talebani. Di fatto l’inizio della fine. La rapida conquista del Paese, cui abbiamo assistito la scorsa estate, non prevista dal Pentagono, ma temuta dalla popolazione, ha costretto molti alla fuga e tanti a nascondersi, mentre chi si oppone al regime viene arrestato, picchiato, torturato, ucciso. 
«Non lasceremo solo il popolo afgano, in particolare le donne», è il mantra che i Paesi occidentali continuano a ripetere. Forse solo per tenere un po’ a bada la coscienza. Perché quel popolo lo abbiamo già abbandonato e mentre i talebani festeggiano la fine di quella che loro considerano «un’occupazione occidentale», gli studenti coranici inneggiano anche alla sconfitta del modello politico, culturale e militare dell’Occidente. Una débâcle, l‘uscita di scena in questo modo, della coalizione, che rende difficile ora anche proporsi come mediatori per assicurare protezione a quanti sono privati dei diritti umani. «Eppure bisogna trovare una via di dialogo», dicono fonti diplomatiche e persino militari. «Abbiamo visto in altri teatri di guerra che fare muro contro gli estremisti e tentare di isolarli li rafforza. C’è una parte, anche se minoritaria, di talebani moderati. Si dovrebbe tentare una mediazione con loro per rafforzarne la posizione». Impresa difficile, soprattutto dopo che i talebani hanno annunciato il proprio governo provvisorio. Tutti uomini, perché, come ha precisato il portavoce talebano Sayed Zekrullah Hashim, «una donna non può fare il ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può portare. Non è necessario che le donne facciano parte del governo, devono fare figli». 
«Ma bisogna insistere», dicono le stesse fonti, «e dialogare. Cercando magari di appoggiare una divisione in due del Paese, visto che le etnie che lo abitano sono molto diverse tra Nord e Sud». Intanto le donne, coraggiose, non ci stanno a perdere nuovamente i diritti che avevano riconquistato. Negli anni Settanta erano state tra le prime a indossare minigonne e a frequentare scuole e università. Poi il buio del regime talebano spazzato via nel 2001 dalla prima missione a guida statunitense che faceva seguito all’attacco alle Torri gemelle.

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di Annachiara Valle

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